“C’è un’Italia che vive “in alto”, a metà tra il cielo e la terra. È l’Italia delle montagne, 4.176 comuni — il 49% del territorio nazionale — che custodiscono paesaggi unici, una ricchissima biodiversità e culture antiche”, dichiarano Fabrizio Giustizieri, Segretario Provinciale Sinistra Italiana, e Francesco Cerasoli, componente Segreteria Provinciale Sinistra Italiana riguardo alla Legge 12 Settembre 2025, n.131, “In Valle d’Aosta e in Trentino Alto-Adige, per dire, tutti i comuni sono montani, in molte altre regioni lo sono la maggior parte. Eppure, per questa metà del Paese, la Legge 12 settembre 2025, n. 131 — “Disposizioni per il riconoscimento e la promozione delle zone montane” — è l’ennesima occasione mancata.
Il cuore economico del provvedimento è il cosiddetto Fondo per lo sviluppo della montagna, con una dotazione di 200 milioni di euro annui nel triennio 2025-2027, da destinare ad agevolazioni fiscali, incentivi a medici e insegnanti, trasporti e digitalizzazione. Questo Fondo, però, esiste già dal 2022 e la legge 131/2025 non aggiunge ad esso un solo euro; anzi lo divide in due, destinando metà alle agevolazioni e metà alle Regioni, che si troveranno così con meno risorse rispetto al passato.
Lo avevamo denunciato durante l’iter legislativo, lo avevano denunciato l’UNCEM e numerose associazioni locali. Nessuna richiesta di incremento è stata accolta. La montagna italiana continua a essere sostenuta con le stesse briciole, mentre si chiedono sacrifici a chi resiste e torna a viverla”.
Hanno poi proseguito “Eppure, per la prima volta dopo decenni, i comuni montani registrano un saldo migratorio positivo di 100 mila persone: un segno di speranza che la politica avrebbe dovuto raccogliere.
Il testo della legge 131/2025 promette sviluppo ma nega le urgenze del nostro tempo. In primis la crisi climatica, di cui le aree montane stanno subendo gli effetti più rapidi e drastici, tra scioglimento velocissimo dei ghiacciai e riduzione della stagione nevosa a causa degli aumenti di temperatura media e delle ondate di calore. In un contesto così delicato, la legge non dedica una sola riga all’adattamento climatico, né tantomeno delinea un piano per il dissesto idrogeologico e la gestione delle acque sotterranee e di superficie. Non c’è poi traccia delle green communities, dei contratti di foresta o di fiume, delle associazioni fondiarie: strumenti fondamentali per una gestione sostenibile e condivisa del territorio. Il governo sceglie quindi di ignorare, coerentemente con il suo ostinato “negazionismo climatico”, il fatto che le montagne siano le prime vittime della crisi climatica.
Si aggiunge a ciò un depauperamento di potere amministrativo: le comunità montane — già marginalizzate dalla scomparsa delle Province — restano senza strumenti e senza competenze e non viene ridefinita alcuna architettura istituzionale capace di coordinare le politiche territoriali. La CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) ha denunciato il mancato coinvolgimento delle comunità locali nella stesura della legge: un segnale grave, che conferma la distanza tra chi governa e chi abita i territori.
Altro punto critico della legge sono le modifiche alle attuali norme sulla caccia. Tra gli emendamenti più contestati, approvati dalla Camera e confermati dal Senato, vi è quello che autorizza la caccia lungo i valichi montani, abrogando il divieto previsto dalla Legge 157/1992. Proprio in quei valichi dove milioni di uccelli migratori, stanchi e vulnerabili, attraversano i massicci montuosi alpini ed appenninici, a distanza di 33 anni si potrà di nuovo sparare. Quarantasei associazioni ambientaliste e animaliste avevano chiesto di stralciare l’articolo 15, risultato? Inascoltate!
Inoltre, all’articolo 13, la legge introduce la possibilità di abbattimento dei lupi attraverso piani venatori regionali. Oltre al fatto che tale scelta ignora volutamente il ruolo fondamentale dei grandi carnivori, lupo in primis, nel contenimento delle popolazioni di ungulati selvatici (cinghiali, caprioli e cervi) e dei relativi danni all’agricoltura, va sottolineato che i piani venatori regionali mancano spesso dei necessari dati scientifici a supporto e vengono perciò quasi sistematicamente censurati dai tribunali amministrativi a seguito dei ricorsi delle associazioni ambientaliste.
Nelle pieghe della legge emerge poi chiaramente la volontà di affidare numerosi servizi pubblici ai privati. Rispetto ai servizi educativi, ad esempio, l’articolo 8 parla chiaro: i nuovi servizi per l’infanzia nei comuni montani saranno affidati al “sistema integrato” — cioè al privato, laico o religioso. Per l’ennesima volta si rinuncia quindi al ruolo del pubblico nella costruzione di comunità resilienti e inclusive, lasciando la sopravvivenza dei servizi alla discrezionalità delle Regioni e delle disponibilità del mercato
Noi di Sinistra Italiana crediamo che la montagna non sia un oggetto da amministrare, né una semplice vetrina turistica. La montagna è un luogo vivo, fragile, dove il futuro del Paese si misura nella capacità di trattenere le persone. Serve quindi una gestione delle aree montane proiettata al futuro, giusta e solidale, capace di adattarsi ai cambiamenti ambientali e di guidare i necessari mutamenti nella società”.
Hanno infine terminato affermando “Per far ciò, c’è bisogno di una visione capace di andare oltre il presente. La legge 131 non costruisce questa visione: si limita a ripetere formule vuote, a ignorare la crisi climatica, a ridurre la tutela della fauna, a frammentare le risorse.
Serve una politica che ascolti chi abita le terre alte, che investa nella cooperazione tra comuni, che riconosca e valorizzi i saperi locali e le economie sostenibili. Ribadiamo la nostra disponibilità ai cittadini e alle cittadine delle aree montane abruzzesi nell’ascoltarli e confrontarci per costruire insieme proposte solide, che evitino quella che ormai in tanti definiscono una “eutanasia programmata” delle aree interne”.