Sono stato critico inizialmente nei confronti degli ucraini e della loro scelta inflessibile di non scendere a compromessi, di lottare per una libertà (non chiaramente definita) a costo della devastazione, della morte, dell’esodo e di tutto il dramma umanitario che è conseguente all’invasione della Russia.
Ieri però ascoltando il canto degli israeliti che si fa nella notte di Pasqua tutto è cambiato.
Si trovarono il mare davanti e il faraone dietro. Dovevano sceglie tra l’acqua del mar Rosso o vivere con il faraone. Non c’era scampo. Il mare non si apriva. Ma quando il primo israelita ha messo il piede nell’acqua allora, solo allora si è aperto il mare, solo dopo quel passo.
Solo quando hanno vinto sulla paura, quando il coraggio ha vinto sull’indecisione.
Per Israele quel coraggio fu il passo nel mare, per vincere la paura.
E per Israele quel passo fu la nascita, la libertà. Fatta a volte di esodo, a volte di deserto, a volte di dolore.
La libertà pesa, è una responsabilità, è una scommessa.
Ma la libertà guarda lontano.
Gli israeliti non si sono chiusi in se stessi, ma si sono aperti a una via tra le acque, scommettendo sul futuro.
Forse, in fondo, a torto o a ragione, è un po’ quello che hanno scelto di fare gli ucraini.
E, forse, è la scelta che ognuno dovrebbe fare per la sua vita: aprirsi a vie di vita, senza paura di fare quel passo.