Pescasseroli. È una rara e bellissima orchidea selvatica, non per altro ha preso il nome della dea della bellezza, anzi della sua “scarpetta”. È il fiore conosciuto come scarpetta di Venere ed è stato strappato nel cuore del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Non si sa da chi, da qualche incauto turista o da qualcuno che semplicemente non si è reso conto di quanto cattivo e spregiudicato fosse il suo gesto?
“La scarpetta di venere è una meravigliosa orchidea selvatica a diffusione euroasiatica. Sebbene a livello globale non sia a rischio di estinzione, in Italia la sopravvivenza della specie è seriamente minacciata. Il suo stato di conservazione è ancora più critico a livello locale: lungo tutto l’Appennino la scarpetta di venere la si può trovare in sole due aree, ovvero nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e nel Parco Nazionale della Maiella. Stop. La moltiplicazione in vivo di questa pianta, così rara in Appennino, è estremamente difficile: ciò significa che se ripiantata artificialmente al 99% la pianta muore e non sopravvive (con buona pace di chi l’anno scorso pensò bene di eradicare totalmente 3 piante in una stazione della Camosciara). Ogni fioritura naturale viene monitorata in maniera accurata ed è sempre considerata con un vero e proprio successo. Solo qualche mese fa, abbiamo accolto con estremo piacere e grande soddisfazione la notizia della prima riproduzione in vitro dell’orchidea, resa possibile grazie al lavoro svolto con il progetto Floranet Life in collaborazione con l’Università della Tuscia”, scrive il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise nella sua pagina ufficiale, “le fioriture spontanee di questo meraviglioso fiore attirano ogni anno numerose persone. Chi per guardarla, chi per fotografarla, in centinaia si assiepano per ammirare una bellezza tanto grande quanto effimera. Tra i tanti visitatori, evidentemente, vi è sempre qualcuno che si dimostra del tutto ignorante (nel senso più stretto del termine) della rarità di ciò che sta osservando, oppure totalmente sprezzante della Natura e delle sue bellezze (cosa ben peggiore). La foto parla da sola e non necessita di ulteriori commenti”.
“Vorremmo però che chi ci legge non si soffermi sul gesto in sé e su chi possa averlo compiuto. Sarebbe bello se ognuno di noi sfruttaste queste righe per riflettere sulle volte in cui, in Natura, si è stati incauti, su quel pizzico di superficialità di troppo, su quel momento di egoismo ed egocentrismo”, aggiungono dal Parco, nello scritto che denuncia l’accaduto, “per tutelare la Natura, e per farlo sempre meglio, abbiamo bisogno di spazio e tempo per riflettere e il modo migliore per farlo è partire da noi stessi e dalle nostre azioni”.