Esattamente quattrocento anni fa, il 15 gennaio 1622, a Parigi nasceva Molière, autore e attore francese tra i più longevi e rappresentati a teatro per quel mix straordinario di realismo, verità e comicità, che era lo scopo del suo teatro: divertire con gli strumenti della verità e della naturalezza.
Il suo vero nome era Jean-Baptiste Poquelin, figlio di un ricco commerciante con la carica di tappezziere del re; venne educato dai gesuiti ed ebbe una solida istruzione in greco latino e teologia, dunque la sua strada pareva già segnata eppure non scelse né il commercio di arazzi, né l’avvocatura e né il sacerdozio (le classiche possibilità in una famiglia come la sua), ma a venti anni approdò a teatro unendosi a una compagnia che poco dopo si chiamò Illustre Teatro. Decise di cambiare nome in Molière, probabilmente per proteggere i famigliari dalla vergogna di un legame con attori e attrici: nella Francia cattolica del tempo, erano i reietti della società tanto che veniva loro impedita la sepoltura cristiana, cosa che però non toccò a lui grazie all’intervento del re Luigi XIV che lo protesse in varie occasioni (soprattutto quando fu oggetto delle critiche e dello sdegno dei benpensanti).
La compagnia fallì e Molière finì in carcere per debiti. Ma questo non scoraggiò gli animatori dell’Illustre Teatro, che lasciò Parigi e girò in provincia per ben quattordici anni, acquisendo esperienza e scoprendo la grande abilità di Molière sia come attore che come autore. Grazie alla sua commedia d’esordio “Lo stordito” ottennero la protezione del fratello del re, il duca d’Orleans, che permise loro di tornare a Parigi e rappresentare a corte – alla fine di un testo di Corneille – la farsa “Il dottore innamorato”, il primo grande successo del commediografo francese. Le abilità e i temi di Molière furono subito evidenti: grande talento come comico, il pathos della vittima umiliata e incompresa, zimbello del divertimento altrui, il ritmo brillante di parole e gesto combinati con il gusto perfetto tipico dalla commedia elevata. Fu questa mescolanza di abilità che lo fece apprezzare e che lo tolse da situazioni difficili a corte, a causa di un’arguzia che provocò non di rado offese e risentimento.
Seguirono opere di scalpore e di grande successo come “Le preziose ridicole” e “La scuola delle mogli” nonché l’incontro e la collaborazione con Racine, che divenne l’autore tragico più importante di Parigi. La vita di Molière rimase sempre a metà tra popolarità e scandalo per questa sua capacità di essere un osservatore attento dei meccanismi sociali e psicologici, per il suo spirito critico e anticonformista che lo portò, attraverso le sue commedie, a una costante battaglia contro l’intolleranza, l’ipocrisia, le convenzioni morali e sociali. I suoi più grandi capolavori, opere tra le più alte e impegnate sul piano morale e ideologico, sono quasi tutti degli anni ’60: “Tartufo” in cui si colpisce l’ipocrisia religiosa; “Don Giovanni o il convito di pietra” che ritrae il signore dell’alta società, cinico seduttore e ingannatore; “Il misantropo” in cui il rigore morale del protagonista lo spinge a fuggire dalla società corrotta; “L’avaro” con al centro un vecchio avaro dedito solo ad accumulare ricchezze. “Il malato immaginario” è l’ultima commedia-balletto del 1673, anno della morte di Molière che si sentì male proprio durante una rappresentazione e morì poco dopo. Le vere malattie di Argante, il protagonista, sono la chiusura in se stesso e l’incapacità di distinguere chi lo ama da chi non lo ama; la sua ostinazione infantile, il suo carattere iroso, la sua volontà tirannica nascondono insicurezza e cecità. La sua malattia immaginaria non è altro che una difesa contro il mondo, gli permette di imporsi e lo dispensa dal reale confronto con gli altri. Il testo ha una tale verve e invenzioni così travolgenti che l’amarezza al fondo del personaggio non intacca lo spasso e il coinvolgimento del pubblico.
Uno degli aspetti più significativi di quest’opera è che riserva solo un piccolo spazio alla commedia dell’Arte (nell’intermezzo con Pulcinella) ma il testo è una chiara rottura rispetto alla tradizione italiana dei comici – tipi fissi e canovacci, cioè trame abbozzate lasciate all’inventiva degli attori – perché Molière ristabilisce il primato dell’autore scrivendo i testi per intero, e inoltre opera uno scavo psicologico notevole per i personaggi, complessi, a tutto tondo, con una grande finezza nel ritratto. Questo influenzò Goldoni al punto che iniziò a scrivere testi riformando il teatro e di fatto provocando la fine della centralità dell’attore e dei canovacci. Per tutto il Settecento e l’Ottocento le opere di Molière continuarono a essere rappresentate, anche in Italia dove nella prima metà dell’Ottocento il teatro era soprattutto lirico – il vero teatro nazionale per importanza, struttura e sovvenzioni cittadine e private – mentre i testi di prosa venivano messi in scena da compagnie itineranti con un repertorio dedicato quasi esclusivamente a Molière e a Goldoni. Una grandissima eredità la sua, e ancora attuale a distanza di secoli. In suo onore quest’anno in Francia ci saranno pubblicazioni, mostre, convegni, spettacoli e vari eventi che celebreranno l’autore di teatro francese più rappresentato al mondo. È stato anche costituito il Comitato ‘Molière 2022’, che ha dato vita a una rete di ricercatori, studiosi e accademici di istituzioni partner in varie nazioni e che coordinerà gli eventi destinati a festeggiarlo su scala internazionale, riunendo teatri, università e scuole.