L’Aquila. E’ un Luca Bergia disponibile e di ottimo umore quello che si presenta ai microfoni di Abruzzolive per parlarci del nuovo tour dei Marlene Kuntz, band da lui fondata nel lontano 1989. Tra qualche ora, sul palco del Bliss di Monticchio (Aq), andrà in scena l’unica data in Abruzzo del tour celebrativo de “Il Vile”, secondo album della band piemontese e vera pietra miliare del genere. Non risparmia critiche al mondo musicale affermando che “sta andando in una direzione troppo omologata. Basta vedere la tv cosa è diventata. E’ tendente allo sfacelo più assoluto in favore di prodotti usa e getta come, ad esempio, la classica “fabbrica dei talenti”.
Avete deciso di festeggiare i 20 anni dall’uscita de “Il Vile” con un tour celebrativo. Come è nata l’idea? Ma, soprattutto, a distanza di tutto questo tempo, in cosa sono cambiati i Marlene Kuntz?
Catartica, nostro primo album, nel 2014 ha festeggiato i 20 anni dalla sua stampa e, così, abbiamo organizzato un tour per onorarlo nel migliore dei modi. Però, già durante quella tournee, gran parte del pubblico ci chiedeva di replicare l’idea anche per “Il Vile”. Inoltre, il nostro ultimo disco (Lunga Attesa ndr) ha delle atmosfere che richiamano alla mente quelle de “il Vile”, e così, in cuor nostro, è stato automatico sposare i due progetti e portarli in tour assieme, quasi fossero due eventi da festeggiare con i nostri fans che ci supportano da sempre. Come siamo cambiati? Siamo 50enni che, però, non hanno perduto la loro grinta e vogliono ancora mettersi in gioco. Ci piace sperimentare e cercare sempre nuove sfide come, ad esempio, la collaborazione con una compagnia jazz contemporanea. Ci lega una lunghissima e sincera amicizia e in ciò che facciamo ci mettiamo ancora moltissima passione. Siamo insieme da quasi 30 anni e questa è una gratificazione e grande conquista. Inoltre è veramente bello portare in giro pezzi che era tanto che non suonavamo, come “Cenere” o “L’Agguato”
Ritornando ai momenti precedenti la scrittura di quel disco, vi sono delle analogie fra l’aria che si respirava in quel periodo e la realtà attuale ? Sono in molti a sostenere che “Lunga Attesa”, vostro ultimo album, richiami le atmosfere de “Il Vile”..
Il contesto che ha portato a “Lunga Attesa” è nettamente diverso da quello di allora. Non lo si può paragonare, sono mondi lontanissimi. Quando uscì “Il Vile” c’era era un’energia positiva molto forte e sembrava che di questo tipo di rock si potesse fare un nuovo linguaggio in grado di arrivare a un pubblico più ampio. Ai tempi di Catartica erano pochi i club che facevano suonare, ma era pieno di realtà piccolissime. C’erano molti centri sociali e, spesso, suonavamo in posti improvvisati dove la corrente era portata da piccoli generatori che, però, saltava frequentemente – ride- . Da questo punto di vista siamo stati dei pionieri, riuscendo, fra le altre cose, a creare un movimento artistico che fino alla fine degli anni 90, anche grazie alle etichette indipendenti, ha avuto un ottimo seguito. Il grunge era diventato un fenomeno commerciale e l’interesse era in crescita. Senza contare che le tasche dei musicisti erano in salute per via della vendita dei dischi. Ora è completamente diverso, forse anche il rock ha perso parte dell’appeal che aveva in quegli anni..
In tutto questo c’è stato l’avvento di internet e del digitale..
L’avvento del digitale ha terribilmente appiattito la qualità degli album che escono. Prima, magari, uscivano dischi la cui produzione non era eccelsa ma che, certamente, godevano di maggiore personalità. Adesso è tutto sterile, tutto uguale, un vero e proprio copia – incolla. Internet, il fenomeno del downloading, il calo delle vendite dei dischi hanno dato una spallata drastica all’industria discografica. Unica nota positiva è il rapporto più diretto tra band e pubblico che, in precedenza, era più marcato. Sono sincero, un po’ di nostalgia nei confronti di quegli anni in cui era tutto più sacro, misterioso e genuino, indubbiamente c’è.
Come vedi la scena underground italiana e, in particolar modo, quella indie alternative?
E’ difficile risponderti perché non conosco in modo sufficiente la scena indie / alternative italiana. Ora come ora il limite tra indie e pop si è assottigliato quasi fino a diventare inesistente. Molte band di “indie” hanno solo l’aspetto estetico. Ci sono centinaia di gruppi tutti uguali che producono musica fatta con lo stampo, per cui è veramente difficile parlare di realtà o di scena. Ma, poi, siamo sinceri, cosa vuol dire essere indie nel 2017? Onestamente vedo solo molta confusione e poca personalità.
Pensi che lì fuori, in giro per l’Italia, ci siano già i vostri eredi?
Onestamente, non saprei. Le nuove realtà sono concentrate su altro rispetto a noi, al rock o all’indie. I Marlene Kuntz odiavano ciò che passava la radio e per questo hanno creato un sound con una propria personalità. Un certo tipo di pubblico dopo un tot di album ti taglia fuori o ti ignora, specialmente se cerchi di rinnovare il sound proponendo qualcosa di diverso. Ecco, credo che questo sia molto stupido poiché non consente di far crescere un movimento musicale e culturale. Quello che vedo intorno mi fa sorridere perché molte nuove realtà che si definiscono “indie”, all’atto pratico suonano pop. Ripeto, vedo molta poca personalità e troppa fretta di arrivare al successo passando attraverso le scorciatoie.
La partecipazione di Manuel Agnelli a X – Factor se per molti fan dell’alternative rock italiano è stata vista come una tradimento, per molti altri, invece, è stata vista come un’ opportunità per sdoganare in Italia un certo tipo di musica. Secondo te, quali sono i benefici che può portare alla scena “rock” italiana?
Non credo possa portare dei benefici. Sono molto disilluso da questo punto di vista. E’ stato bravo a investire sulla sua figura, quindi, i maggiori benefici vanno a lui, giustamente. Non tutti sono bravi a reggere quella pressione e quei meccanismi, ma lui in questo è stato molto bravo. Però, da qui a dire che ci può essere interesse nei confronti di realtà alternative no, non credo proprio. Da X-Factor non possono uscire artisti in grado di superare i 20 anni di attività o che abbiano qualcosa di veramente nuovo. Sono tutti dei cloni impersonali che di artistico non hanno nulla. I Marlene Kuntz, francamente, non avrebbero mai potuto prendere parte a una realtà del genere. Non vedo nulla di spontaneo o fresco e, quindi, non credo assolutamente che potranno esserci dei benefici per la scena musicale. Federico Falcone