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Infermiere sospeso perché rifiutò di sottoporsi a vaccino anti-Covid: Asl condannata al pagamento delle retribuzioni

Giulio Catalucci di Giulio Catalucci
25 Maggio 2024
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Chieti. Il lavoratore, infermiere della ASl Lanciano-Vasto-Chieti, era stato destinatario di provvedimento disospensione emesso dall’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Chieti (O.P.I.), a cagione dell’omesso adempimento all’obbligo di vaccinazione e/o comunicazione della certificazione attestante le ragionigiustificative della mancata vaccinazione contro il virus Sars-Cov 2, a seguito del quale parte datoriale aveva provveduto ad emettere, a sua volta, provvedimento disospensione dal lavoro e dalla retribuzione per il predetto arco temporale.

Il giudice del Lavoro di Vasto, con sentenza del 22.5.24, ha condannato la medesima Asl al pagamento in favore del lavoratore delle retribuzioni dovute per il periodo di sospensione dal lavoro sulla base delle seguenti argomentazioni.

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Ciò che ha rilievo dirimente e assorbente è che il lavoratore, per tutto il periodo lavorativo oggetto di causa, è sempre stato in regola con gli obblighi imposti dalla legge in materia di vaccinazione anti Sars-Cov 2. Invero, dalla documentazione prodotta emerge in modo inequivoco che lo stesso, al tempo della comunicazione trasmessa dall’O.P.I. aveva ultimato il primo ciclo di vaccinazione, a seguito della sottoposizione alla prima ed alla seconda dose di vaccino.

Inoltre, in coerenza con quanto stabilito dal D.L. n. 172/2021, nonché dalla circolare del ministero della Salute n. 53312 del 22.11.2021 (Aggiornamento indicazioni su intervallo temporale tra la somministrazione della dose “booster” (di richiamo) e il completamento del ciclo primario nell’ambito della campagna di vaccinazione anti SARS-CoV-2/COVID-19), la quale aveva stabilito l’intervallo temporale minimo di 5 mesi tra il completamento del ciclo vaccinale con la seconda dose di vaccino e la somministrazione della terza dose di richiamo c.d. “booster”, il lavoratore si è sottoposto alla anzidetta somministrazione.

Né può giungersi a conclusioni differenti valorizzando l’omesso tempestivo riscontro del dipendente alla citata nota trasmessagli dall’Ordine di appartenenza, con la quale gli veniva richiesto l’invio della documentazione attestante il regolare adempimento agli obblighi di legge in materia di vaccinazione contro il virus Covid 19 e rimasta inevasa.

Invero, in nessuna delle disposizioni della richiamata normativa emergenziale emerge che tale omissione determini, come immediata e diretta conseguenza, la sospensione dall’attività lavorativa e dalla retribuzione, essendo ciò espressamente previsto solo in caso di posizione sostanzialmente irregolare con riguardo all’obbligo vaccinale, circostanza, quest’ultima, che deve essere oggetto di apposito accertamento da parte dell’Ordine medesimo (art. 4, commi 3 e 4, D.L. n. 44/2021). In altri termini, in base a quanto desumibile dall’interpretazione letterale della legge in rilievo, tra la decorrenza dei cinque giorni entro i quali dare riscontro alla richiesta dell’apposita documentazione da parte dell’Ordine professionale di appartenenza e l’applicazione della sospensione dalla professione sussiste uno iato temporale, che postula la necessità di condurre “accertamenti” in ordine alla situazione concreta di vaccinazione del medico od operatore sanitario, e solo a seguito dell’esito negativo dei predetti accertamenti la procedura può concludersi con il provvedimento sospensivo.

In considerazione di tanto, deve ritenersi che, per tutto il periodo lavorativo in contestazione, il lavoratore ha continuato a svolgere regolarmente la sua prestazione lavorativa, in quanto regolarmente sottoposto a copertura vaccinale, nel rispetto degli obblighi di legge. Tanto è sufficiente a ritenere illegittimi i provvedimenti di sospensione emessi nei confronti del lavoratore dal datore di lavoro, in quanto provvedimenti conseguenti ad altrettanto illegittimi provvedimenti sospensivi emessi dall’O.P.I. di competenza.

A ciò deve aggiungersi la ulteriore considerazione che, quand’anche il lavoratore non fosse stato effettivamente in regola con gli obblighi vaccinali e, quindi, impossibilitato allo svolgimento della prestazione lavorativa, parte datoriale, in luogo dell’immediata sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, ben avrebbe dovuto adempiere all’obbligo di verificare la possibilità di adibirlo ad attività e mansioni diverse tali da scongiurare il rischio di diffusione del contagio nell’ambito lavorativo, in coerenza con quanto stabilito dal già citato art. 7 D.L. n. 44/2021, e solo nel caso in cui ciò non fosse stato possibile avrebbe dovuto procedere con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

Esprime soddisfazione per la decisione l’avv. Luca Damiano, del Foro di Vasto (CH), il quale aggiunge che il proprio assistito è stato anche denunciato dal Direttore Generale della ASL per esercizio abusivo della professione di infermiere, trovandosi e tutt’ora sottoposto a procedimento penale, per aver svolto la propria attività in un periodo emergenziale e di grave carenza di personale.

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