Amleto De Silva, in arte Amlo, è nato a Napoli, cresciuto a Salerno e oggi vive a Roma. Ha esordito come vignettista su “Cuore”, Smemoranda e altri, vincendo il Premio Satira Politica di Forte dei Marmi. Cura un blog molto seguito (www.amlo.it) e le rubriche Spoiler, Playlist e On Writing per TvZap e Ilmiolibro.it, è autore teatrale con Enrico Montesano e sue vignette e battute le troviamo in “La classe è invasa dal principio d’inerzia” per Kowalski e “Carognate di Natale” per Gremese. Tra i romanzi ricordiamo “Statti attento da me” e “La nobile arte di misurarsi la palla” editi da Roundmidnight, “Stronzology, gnoseologia della dipendenza dagli stronzi” (LiberAria) che non è un manuale come può sembrare, ma “un tentativo di fare della filosofia da bar, di chiacchierare davanti a un campari e gin. Se è possibile, di parlare dei massimi sistemi, dire due cazzate, soprattutto farsi due risate”; nel 2021 è uscito “Il pugilatore. Viaggio intorno a Sonny Liston” per Les Flâneurs edizioni, e da pochi mesi “Bocca mia mangia confetti” edito da Rubbettino.
“Pasquino partenopeo cinico e smagato” (Mangialibri), Amleto De Silva è un autore controcorrente, libero, scomodo secondo la visione politicamente corretta che vuole gli scrittori integrati in un sistema editoriale spesso snob e calcolatore, che persegue il successo facile a scapito della qualità, asseconda le mode ed è soffocato da interessi meramente economici. Per Amleto invece conta soltanto il lettore e uno stile che lo coinvolga, gli dia piacere e lo inchiodi alle pagine. Artista irriverente e incontaminato e al tempo stesso persona accogliente, comunicativa, di una gentilezza così immediata e genuina che la senti amica anche se la conosci solo da una manciata di minuti.
Ecco la sua intervista, liberamente ispirata al “Questionario di Proust”:
Amleto: un nome impegnativo? Una maledizione, direi, culminata quando scoprii che il mio esame di Storia del Teatro era proprio sull’Amleto. Ti lascio immaginare.
Sei per le domande o per l’azione? Tendenzialmente sarei un accidioso, ma siccome sono anche un nevrastenico ho scoperto che l’azione mi consente meno arrovellamenti. Se fai, non pensi, o pensi meno: ottima cosa.
Il tratto principale del tuo carattere? La misantropia, senz’altro. Da sempre.
Un tuo difetto che ti piace e che non cambieresti mai? Sono vendicativo. Ma non sono affatto sicuro che sia un difetto.
Qual è la qualità che ammiri nelle persone? Ah, senz’altro la buona educazione. Anche falsa, eh. Se mi detesti educatamente e senza piazzate te ne sarò sempre grato.
Cosa apprezzi di più dei tuoi amici? Che si incazzano perché sono restio a raccontargli i miei guai. Sono pochissimi, ma a me ci tengono e si dispiacciono quando, invece di sfogarmi, mi nascondo. Ma, come diceva Scola, gli amici servono a non rompere il cazzo agli altri amici.
Il tuo passatempo preferito? Leggere, studiare, la musica. Ma quello che mi soddisfa davvero è aggiustare le cose: roba elettrica, mobili, ecc. E poi, ovviamente, scrivere. Come dico sempre, quando scrivo sono alto sei metri.
Quale sarebbe, per te, la più grande disgrazia? A parte quelle ovvie? Credo perdere la vista, sempre per il fatto di leggere e scrivere. Sono troppo vecchio per il braille e troppo fregnone in generale.
L’ironia salverà il mondo? Macché. Chi vuoi che la capisca più, l’ironia. È stata soppiantata dalle spiritosaggini: e più banali sono, più piacciono. Roba da cafoni. Da ignoranti.
Porti con te le tue radici napoletane? Direi di no, perché a Napoli ci sono solo nato; a Salerno ci sono cresciuto, consapevole di non essere salernitano. I salernitani tengono molto a farti notare che se non sei nato a Salerno non sei di Salerno: è un loro hobby. Mi porto dentro però la Napoli dei libri e delle canzoni. Quella migliore, che infatti non esiste.
Uno scrittore necessario? Migliaia, ma pistola alla tempia: Dickens.
Tre aggettivi che ti descrivono? Due li ho già citati: nevrastenico e vendicativo. Aggiungo beneducato.
Un verbo che ti rappresenta? Cambiare.
Se fossi un supereroe, chi saresti? Maradona.
Cosa detesti? Come scriveva Parise, non sopporto più le persone che mi annoiano anche pochissimo, che mi fanno perdere anche un solo secondo di vita.
“Stronzology”: chi è lo stronzo per antonomasia? Quello che vuol farti credere che lo stronzo sei tu.
Un dono che vorresti avere? Saper scrivere poesie. Però, a differenza di molti poeti, ho il dono inestimabile di capire che non so scrivere poesie.
Di cosa ti senti in colpa? Io mi sento in colpa anche quando vado a fare la spesa, figuriamoci.
La satira è uno strumento democratico? No, per niente. Ha bisogno di qualcuno che la sappia leggere, e oggi la gente ha un vocabolario di trenta parole al massimo.
Qual è l’aspetto più ridicolo delle persone? Il sussiego. Quelli che si credono stocazzo, senz’altro.
Tre cose che salveresti dalla fine del mondo? Il circolo Pickwick di Dickens, It di King e le poesie di Dylan Thomas. Ma solo per far capire ai sopravvissuti che si può ricominciare partendo dalle cose belle.
L’esperienza di cui sei più orgoglioso? Una volta Gigi Magni mi ha detto che gli era molto piaciuto un pezzo teatrale che avevo scritto io. Stavo per pisciarmi sotto come un cagnolino, dalla gioia.
Per cosa vorresti essere stimato? Per aver cercato – non riuscendoci sempre, ovvio – di essere una brava persona.
Lascia scritto il tuo motto della vita: Un po’ di culo, no?