L’Aquila. E’ in dirittura d’arrivo la mappa dei ‘terremoti dimenticati’ dell’Appennino: comprende 716 comuni che si estendono lungo l’intera catena montuosa per mille chilometri, dalla Liguria allo stretto di Messina. In via di pubblicazione sull’International Journal of Disaster Risk Reduction, la mappa arriva a un anno dal terremoto del 24 agosto 2016 e guarda al futuro, proponendosi come uno strumento operativo che potrà aiutare a individuare le priorità di intervento tese a ridurre la vulnerabilità dei paesi che si trovano lungo l’Appennino. “Abbiamo sviluppato l’ipotesi di lavoro che la vulnerabilità dei centri abitati storici cresca al crescere del tempo trascorso dall’ultimo scuotimento significativo, come risultato ultimo dell’invecchiamento del patrimonio abitativo e di una sorta di ‘smemorizzazione’ nella popolazione”, ha detto all’ANSA il sismologo Gianluca Valensise, dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanolgia (Ingv) e del Centro euro-mediterraneo di documentazione Eventi Estremi e Disastri (Eedis), autore della ricerca con Gabriele Tarabusi e Graziano Ferrari, dell’Ingv, ed Emanuela Guidoboni, dell’Eedis. A ispirare la ricerca è stata la forte differenza nel modo in cui Amatrice e Norcia hanno risposto al terremoto del 24 agosto 2016.
“Le due località – ha spiegato Valensise – sorgono quasi alla stessa distanza dalla faglia che ha generato quel terremoto” e “il livello di scuotimento è stato confrontabile, in effetti appena più severo ad Amatrice”. Tuttavia ad Amatrice la scossa di magnitudo 6,0 del 24 agosto ha devastato il paese, con danni equivalenti al X-XI grado della scala Mercalli, mentre a Norcia si sono registrati danni pari al VI grado Mercalli. Analoghe le conseguenze della scossa del 30 ottobre 2016, con danni equivalenti all’XI grado per Amatrice e all’VIII-IX grado per Norcia. “La differenza – ha rilevato – è quella tra un centro abitato praticamente scomparso dalla carta geografica, Amatrice, causando oltre 220 vittime, e Norcia che, seppure lentamente, sta tornando alla normalità, con zero vittime”. All’origine di questa enorme differenza c’è, secondo gli autori della ricerca, l'”elevatissima vulnerabilità del costruito ad Amatrice, cui si contrappone una vulnerabilità molto bassa per gli edifici di Norcia, inclusi quelli storici”. L’analisi della storia dei terremoti nei due centri ha portato a concludere che “che ciò che ha salvato Norcia è stata una ‘familiarità’ con i forti scuotimenti”, ossia con sismi che possono generare danni dell’VIII grado Mercalli e oltre, che impongono la ricostruzione totale o parziale degli edifici.
Questa ‘memoria dei terremoti’ è invece mancata ad Amatrice: dopo il devastante terremoto del 1703 “Norcia ha subito diversi terremoti significativi, fino a quello del 1979, ognuno dei quali ha imposto una ricostruzione o un irrobustimento degli edifici. Questo non è avvenuto ad Amatrice, che fino al 2016 ha subito solo terremoti minori “. A questo punto i ricercatori si sono chiesti: “quante altre ‘Amatrice’ esistono in Italia?”. Una risposta preliminare è arrivata grazie a due banche dati pubbliche gestite dall’Ingv, il Database of Individual Seismogenic Sources e il Catalogo dei Forti Terremoti in Italia. Sono stati selezionati così 716 comuni che si trovano in corrispondenza delle grandi faglie capaci di generare terremoti e di ognuno di essi è stata analizzata la storia sismica, verificando la data dell’ultimo forte scuotimento subito. Per ora l’analisi ha riguardato solo la dorsale appenninica, che da sola rilascia circa il 70% dell’energia sismica in Italia, “ma in futuro – ha concluso Valensise – potrà essere estesa a tutta l’Italia”.