Circa un anno fa, dopo una malattia breve ma inesorabile, ci lasciava Lorenzo Filomusi Guelfi, produttore di nicchia e poco mediatico, ma che tutti i bevitori seri di Montepulciano d’Abruzzo conoscevano bene. Lorenzo è stato per anni, specie a cavallo fra gli anni Novanta e Duemila, uno dei nomi di riferimento del rosso tradizionale abruzzese: quello autentico, senza concessioni modaiole, fatto talvolta con qualche “spigolatura” difficile da comprendere ai poco avvezzi, ma che a noi abruzzesi ricordava tanto “l’aria di casa”. Grazie alla collaborazione dell’amico Marco Gialloreti, titolare insieme alla infaticabile compagna Eleonora della enoteca/bistrot Ada Nurzia in quel posto bellissimo che è la piazza di Tagliacozzo (guardare la foto di chiusura per credere!), ho voluto allora incontrare Alessandro, uno dei giovani figli che, insieme a madre e fratello, ora sta riassestando le fila dopo un periodo complicato, per raccontare di nuovo questa bella storia e fargli un in bocca al lupo per il futuro.
L’azienda appartiene alla famiglia Filomusi Guelfi dalla prima metà del Settecento. A quei tempi già esisteva la storica cantina (oggi protetta dal Ministero dei beni Culturali), situata in pieno centro storico del paese di Tocco Casauria, nelle zone interne della provincia Pescarese, recentemente ristrutturata per renderla più funzionale alla produzione di vino: un luogo affascinante, che trasuda storia e che, da solo, giustifica il viaggio. Lorenzo inizia a vinificare a metà degli anni Ottanta, riprendendo l’attività di famiglia abbandonata dal padre negli anni Sessanta, quando con la crisi dei mercati del Nord Italia e della Svizzera (Trento e Bolzano attingevano da queste parti “camionate” di vino, soprattutto rosato) la coltivazione dell’uva divenne non più redditizia. A quell’epoca gran parte dei vigneti furono espiantati o convertiti a forme di allevamento più produttive ma meno qualitative, come la pergola abruzzese. Di tutti i possedimenti della famiglia Filomusi Guelfi solo poco più di un paio d’ettari furono preservati con le vecchie vigne a “spalliera”, e da questi oggi prende vita il rosso Fonte Dei, il cru più rappresentativo dell’azienda.
Nel tempo Lorenzo, animo inquieto e sperimentatore, acquista e reimpianta nuovi appezzamenti, introducendo anche un mix di vitigni autoctoni e alloctoni a bacca bianca (Sauvignon, Cococciola, Pecorino, Chardonnay).
Da circa tre anni, le redini dell’azienda sono state prese, giocoforza, da Alessandro, il maggiore dei figli, oggi appena ventottenne. Mi chiama per dirmi che doveva fare un giro a trovare qualche cliente dalle mie parti (Tagliacozzo, in provincia dell’Aquila) e avrebbe avuto piacere di farmi assaggiare le nuove annate… Io gli dico “molto volentieri! visto che ci sei porta qualche bottiglia vecchia che organizziamo una verticale al volo…”. “E che porto? Noi non abbiamo mai messo da parte un vero e proprio storico della produzione…c’è qualche bottiglia sparsa qua e là ma non garantisco…”, risponde lui. “Senti, anche l’ultima volta con tuo padre facemmo così e fu divertente…pesca a casaccio qualche bottiglia e vediamo che esce fuori!”
Così è nata una verticale per nulla strutturata ma che alla fine mi ha regalato belle emozioni. Questo il racconto.
Montepulciano d’Abruzzo 2017
Il base Filomusi è sempre stato uno dei miei preferiti. Ricordo di aver assaggiato addirittura dei bag in box che davano una pista a tanti Montepulciano in bottiglia. È un vino di qualità prezzo invidiabile (intorno ai 10 euro a scaffale), con cui ogni ristoratore avveduto dovrebbe a mio avviso lavorare. In questa 2017, ha un tannino arrembante e un po’ verdolino, figlio dell’annata. Ha succo e acidità però, e la beva alla fine risulta fresca e stimolante.
Montepulciano d’Abruzzo 2014
Un base per modo di dire! “…arrivò un grosso ordine da un importatore del nord Europa e papà aveva dimenticato di mettere da parte vino a sufficienza; allora, per non perdere la vendita, ci mise dentro un 25-30% di riserva…”, mi racconta divertito Alessandro. Filomusi Guelfi era un personaggio fatto così. In pratica quel fortunato importatore si ritrovò una mezza riserva al costo di un base…e si sente! Equilibrato, sapido, tannini maturi e freschi, bevuta appagante: che bel vino!
Montepulciano d’Abruzzo 2010 (in magnum)
La prova provata che il base di Filomusi è vino di integrità e materia superiore. Questa bottiglia è, dopo 9 anni, perfettamente godibile: tanta roba al naso, con note di prugna, di frutti neri, di pepe, e poi bocca ancora fresca, dal sorso pieno e dal finale pulito. Questo è il mistero e la magia del vino! Un vin-ello (“ello” solo sulla carta) pensato per un pronto consumo, che poi ti tira fuori queste cose!
Montepulciano d’Abruzzo Riserva 2012
Sarebbe il fratello maggiore dei vini provati finora, quello che in genere, nei miei assaggi, riscontra il maggior gradimento. Questo 2012 mi appare invece un po’ contratto, scuro, cupo, ancora chiuso su sé stesso, tanta materia ma un po’ frenato nello slancio.
Montepulciano d’Abruzzo Fonte Dei 2012
Da filare basso di 70 anni. Il Fonte Dei è il cru aziendale, quello su cui Lorenzo puntò all’inizio per rappresentare le potenzialità della sottozona Casauria. Questo 2012 è uno spettacolo, forse il miglior Fonte Dei che abbia mai provato! Elegante e complesso, ha un altro passo. Succoso, legno ben integrato, attacco ancora molto fresco, ha struttura ma anche dinamismo, e finale lunghissimo e pulito che sa di frutto e spezie…in stato di grazia!
Montepulciano d’Abruzzo Fonte Dei 2008
Inchiostro, china, liquirizia, funghi, è vino tutto giocato su toni scuri. La beva è ricca e potente, i tannini maturi, ma restano un pochino amari. Se come materia siamo lì, non ha a mio avviso l’eleganza e l’allungo del 2012.
Montepulciano d’Abruzzo Fonte Dei 2007
Complesso e ricco, liquirizioso, china, leggerissima volatile, marmellata di prugna, sapido, lunghissimo, equilibrato, legno che marca un po’ l’assaggio nel finale. Questo è uno dei primi esperimenti di Fonte Dei (credo la terza annata prodotta), figlio di un contesto enologico che privilegiava molto la potenza e la struttura. La mano era un po’ più pesante e i legni nuovi hanno lasciato il loro imprinting anche a distanza di anni. Il sorso è comunque pieno e ricco di sapore, con finale di grande persistenza.
(Articolo pubblicato anche su www.vinodabere.it – Credits: foto di Ilaria Pellicane)