L’Aquila. “E’ bello, dopo trentotto anni di carriera, che tutte le sere debba essere una conquista”, confida al suo pubblico Sebastiano Lo Monaco, a fine spettacolo, dal palcoscenico. “Il mio nome è Nessuno” è l’adattamento delle due opere omonime di Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore, che raccontano le vicende di uno dei più famosi eroi del mito greco, Ulisse, re di Itaca. Due date, giovedì e venerdì, parte del ricco calendario aquilano del TSA, presso il Ridotto del Teatro, onorate da un pubblico davvero nutrito. Lo stesso pubblico con cui Sebastiano si sente in comunione, di cui riesce a cogliere l’empatia, le reazioni, le emozioni, attraverso la potenza della parola. Per lui “l’attore vive sé stesso solo in quelle tre ore di spettacolo. La sua unica verità è in scena”. Ieri, in un incontro al Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila, ha avuto modo di parlare della sua vita e della sua arte, in compagnia del drammaturgo ed amico Francesco Niccolini, intervistati dal professore di “storia del cinema” Mirko Lino e da Fabrizio Deriu, ospite dall’Università di Teramo. La rappresentazione teatrale racconta in un lungo flashback gli incontri dell’eroe nei vent’anni trascorsi lontano dalla patria, con le donne che hanno turbato la sua vita (Elena di Troia, Penelope, Circe, Calipso, Nausicaa e Atena) e con uomini valorosi e disperati, come Aiace ed Achille, consapevoli del loro destino nefasto; la storia
riparte dal ritorno a Itaca, dal primo incontro con il figlio Telemaco. Perfettamente incastonate in questa architettura le musiche dell’orchestra “Sax in Progress”. Per Lo Monaco questa è l’opera della sua vita, in un’esistenza in simbiosi con la classicità, dall’amore per la sua Siracusa agli studi liceali; rappresentare su un palcoscenico il protagonista dell’Odissea è stato come donargli il respiro. Non è stato affatto facile per Francesco Niccolini, colui che ha riadattato il testo, convertire le seicento pagine romanzesche in meno di due ore di spettacolo: la soluzione, racconta lui stesso, è arrivata alternando momenti puramente narrativi a scene, molto intense, di dialogo, di cui l’attore principale è stato un interprete esemplare. Ma “Il mio nome è Nessuno” è molto di più della storia sentita e risentita dell’eroe di Itaca. Si tratta di un dramma tutto moderno, di un Ulisse che non è semplicemente l’astuto stratega, ma un uomo di “carne e sangue”, che soffre, che teme per la sua vita, che riflette sull’insensatezza della guerra di Troia, archetipo di tutte le guerre. Egli, personaggio secondario nell’Iliade di Omero, racconta il dramma della morte dalla sua prospettiva, lui che cerca di mediare diplomaticamente tra le due parti in lotta ma che non viene ascoltato, triste profeta di indicibili sofferenze. Achille non è l’eroe sprezzante e orgoglioso a cui siamo abituati, ma un guerriero dolorosamente consapevole del suo destino, un “nostalgico della vita”, come lo ha definito Francesco Niccolini. “Perché i racconti di Omero possono essere ancora attuali?” chiede uno studente. Il drammaturgo risponde, laconico: “Stiamo ancora bombardando. Continuiamo con i nostri errori”. Il dolore della guerra, le contraddizioni e le debolezze dell’essere umano: tutto questo è tremendamente moderno. Penelope non riconosce quell’uomo abbrutito da tante uccisioni. Odisseo è un reduce, non gioisce per il sangue versato. Odisseo vede ciò che gli altri guerrieri, al di là della logica del duello, non vedono; non esiste vittoria dopo il sangue e la violenza. Il mondo moderno vive ancora tali contraddizioni. L’ultima rappresentazione di Sebastiano Lo Monaco, pur rimanendo fedele alle visioni di un contesto classico, riesce a gettare il seme del dubbio anche nei contemporanei. Ancora oggi in molti si chiedono ciò che gli eroi di Troia su quel palcoscenico si affannano di capire: qual è il senso di tutto questo? Diego Renzi