Pettorano sul Gizio. “Ogni addio equivale ad un assaggio della morte. Ogni volta che ci si ritrova è come assistere alla propria resurrezione”- Arthur Schopenhauer. Queste parole di forte contenuto emotivo dilagano i cuori dei più sensibili e, goccia a goccia, come pianti, caricano la terra di immenso dolore. Il monumento all’emigrante sito a Vallelarga, frazione di Pettorano sul Gizio, ce lo racconta proprio con il pensiero del filosofo tedesco Schopenhauer, riportato su di una targa incastonata ad un grande masso di pietra. Realizzato dall’amministrazione Comunale di Pettorano sul Gizio riportante la data 2007, accoglie la figurazione scultorea del globo terrestre. La lavorazione metallica, vi è piantata ad inclinazione verso destra sull’imponente blocco di pietra che campeggia nella piazza del paese, a metà strada tra Sulmona e Pettorano sul Gizio.
Qui, storie di emigranti giacciono di tristezza e immaginare un lieto fine vi era molto difficile, poiché, nella maggior parte dei casi, il ritorno non era cosa attuabile. L’andare verso un luogo lontano per trovare giovamento era quasi una fonte di costrizione, dove il viaggio aveva un significato crudo e diveniva sinonimo di abbandono. Anime fragili e forti, con un bagaglio di sogni e incertezze, lasciavano gli affetti con l’abbraccio di un “sempre”, per dire loro “addio” ma al contempo, augurarsi un ritorno. Osservando il monumento dedicato all’emigrazione troveremo imbastite queste forme di dolore che rappresentano le prove della vita indefinita, dove andare era l’unico mezzo per esplorare altre realtà, talvolta migliori e talvolta di forte devastazione individuale.
Nell’opera scultorea trentadue raggi curvilinei, come fossero i trecentosessanta meridiani, si ancorano alle estremità per dare forma al mappamondo, sorretto da un tubo anch’esso metallico. La scultura, vista dall’angolazione interna del globo terrestre, presenta una lavorazione lineare e al contempo efficace che si affaccia con i suoi raggi al cielo esaltandone una prospettiva unica e di forte richiamo visivo. È dunque un monumento dalla duplice espressione artistica poiché lo si può attenzionare anche dal suo interno, come fosse una sorta di radiografia delle contemplazioni, orbitando su concetti emozionali e imprimendone di valore la caratteristica dominante, quale l’emigrazione.
Questa visione può quindi indurci ad un’analisi costruttiva, ovvero che in questo mondo di dolore dovremmo lasciare che regni l’impegno del buon cambiamento e, attraverso le fessure che vediamo nella composizione monumentale della terra, possiamo lasciar filtrare quella luce legata al pensiero dell’evoluzione, sprigionando bensì, la voce della collettività su orizzonti liberatori, poiché la vera indipendenza non è mai condotta da un viaggio umano ma dallo spostamento spirituale e, talvolta, occorre spostare le nostre visioni ammirando le storie di un tempo, che sanno raccontarci i mutamenti dell’oggi grazie al fruire del loro coraggio passato, onorandoci la vita con dell’auspicato sano presente.