Atri. Come abbiamo visto questa estate un gruppo di camminatori è partito da Atri ed è arrivato a Lanciano, nell’ambito di un percorso in realtà più lungo che vorrebbe partire da Isola del Gran Sasso, e meritarsi l’appellativo di Cammino dei Santi Gabriele, Camillo e Maria.
Una tappa fondamentale del percorso è stata Chieti, dove il gruppo è giunto il 1° luglio. Tra le tante eccellenze artistiche e spirituali del luogo, ne spicca una di antica origine celestiniana: Santa Maria della Civitella.
La chiesa si trova nel punto più alto della città, nel sito dell’antica Teate, sopra un tempio pagano e presso i resti archeologici dell’anfiteatro romano.
Fu edificata nel 1295 dal Beato Roberto da Salle, quale chiesa del monastero benedettino dei Celestini, dedicata all’Assunzione di Maria.
Ciò avvenne durante il regno di Carlo II D’Angiò, il volto del quale è ritratto in una scultura che campeggia sul portale gotico trecentesco, eseguito da Nicola Mancino da Ortona.
Costruita a navata unica con alto tiburio e con volta a botte lunettata, dell’antica chiesa restano , oltre le mura perimetrali, il suddetto portale, ed un affresco sulla controfacciata.
L’attuale rifacimento barocco fu curato dall’abate Girolamo Lasena a partire dal 1677. Di esso soprattutto spiccano sulla volta della navata, la grande pittura della Caduta di Lucifero, opera settecentesca del pittore teatino Donato Teodoro.
Su un altare laterale, c’è la statua in terracotta della Madonna della Neve.
Interessante la controfacciata, che presenta un drappo in stucco e una statua di Roberto da Salle
Nella Chiesa era custodito il corpo di S. Eleuterio, vescovo di Chieti, oggi custodito in Cattedrale. Oggi vi trova sepoltura LO STORICO CHIETINO G.RAVIZZA.
“Fu la Confraternita di S. Maria della Civitella, che in essa aveva sede, a costruire chiesa e ospedale della SS. Trinità dei pellegrini più a valle, presso Porta S. Andrea.” – ci dice don Claudio Pellegrini, parroco proprio della Trinità, nel cui territorio ricade la Civitella.
“Dopo la soppressione dell’ordine celestino, chiesa e monastero passarono ai frati Carmelitani, che diedero alla chiesa l’attuale nome di Madonna del Carmine”.
Occupato dai francesi nel 1799 e 1807, poi confiscato dal neonato Stato italiano, L’ATTIGUO EX MONASTERO CON CHIOSTRO E REFETTORIO DEL 1600 FU TRASFORMATO PRIMA IN CASERMA E POI, NEL 1934, IN SEDE DI UN COLLEGIO FEMMINILE RETTO DALLE SUORE ORSOLINE.
Attualmente è un centro accoglienza “Capanna di Betlemme”, dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi.
Ma chi era il b. Roberto da Salle? Ce lo dice don Gabriele Tamilia, parroco di Morrone del Sannio, luogo in cui il beato morì.
“Roberto, figlio di Benvenuta e di Tommaso, nacque a Salle, in provincia di Pescara e diocesi di Chieti-Vasto, nel 1273. Nel battesimo fu chiamato Santuccio e tale lo chiamava anche il suo maestro Pietro da Morrone, il futuro Celestino V.
Fin dall’età di 7 anni diede alla sorella, che aveva ricevuto un danno, una lezione di amore e di perdono.
Sentiva la vocazione alla vita religiosa fin da ragazzo, perciò chiese al monaco Pietro da Morrone di essere ammesso alla sua Congregazione, detta all’inizio dei Maiellesi, poi dei Celestini. Per la gracile salute non venne accettato; per le preghiere della mamma e la insistenza dell’aspirante, venne accolto; dopo il noviziato e la preparazione agli Ordini sacri, venne ordinato sacerdote a 25 anni nel 1298.
Eletto, contro sua voglia, al Sommo Pontificato, Pietro, che prese il nome di Celestino V, desiderava come consigliere il suo amico prediletto, Roberto da Salle, ma, come testimonia anche Francesco Petrarca nella “De vita solitaria”, Roberto ringraziò per la fiducia, però chiese al Padre di lasciarlo a continuare nella sua vita eremitica.
Non fu esattamente così, perche Roberto diventerà un ottimo continuatore nell’opera del monaco e fondatore Pietro. Visterà i tanti monasteri celestiniani in Italia e in altre parti; ne fonderà a sua volta, e confermerà i monaci celestini nell’osservanza della vita monastica. Sarà anche un santo della carità.
La sua vita mistico-ascetica è stata improntata alla dimensione della croce, della sua accettazione e della penitenza corporale, perfino col cilizio realizzato da lui stesso. Costruì un modello di croce e passava del tempo addossato a quel legno, per averne costantemente presente la relativa dimensione esistenziale.
Può essere considerato il secondo fondatore della Congregazione dei celestini.
Trascorse gli ultimi dieci anni della sua esistenza nel monastero celestiniano di Morrone del Sannio, in provincia di Campobasso, diocesi di Termoli–Larino, probabilmente fondato da lui, o dal suo maestro Pietro,
A 68 anni si ammalò gravemente; fu tormentato anche dal demonio, per cui chiamò i monaci che pregassero per lui. I monaci videro una croce luminosa alta 8 cubiti. Al termine della preghiera con le parole “Te rogamus audi nos” la visione scomparve. Il Santo recuperò la salute, ma per breve tempo.
A Morrone del Sannio terminò la sua vita terrena il 18 luglio 1341, all’età di 69 anni e di 52 di vita religiosa.
La fama della sua santità si diffuse nei dintorni, tanto che alla notizia della morte accorse gente da varie parti del Molise a chiedere grazie per la sua intercessione. In tanti vennero esauditi. Il suo corpo, da Morrone, venne traslato all’Abbadia Sulmonese, dove restò fino al 1807, anno della soppressione della Congregazione Celestina. Da quell’anno riposa nella chiesa parrocchiale di Salle”.