Pescina. L’arte della letteratura è sapienza cosparsa dal buon cibo per l’umanità e, Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli, ne condusse un’ottima filosofia di vita che gli permise di aiutare la sua popolazione vittima degli ingiusti. Nato a Pescina il primo maggio del 1900, svolse la sua vita tra le dure difficoltà di quei tempi, ma mediante la sua cultura e la sua sana crescita intellettuale, riuscì a gestire la propria vita realizzandosi in eclettiche attività, ovvero operando come scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo e politico. Deceduto a Ginevra il 22 agosto del 1978, lo ricordiamo ad oggi, con pregio e ammirazione, in rappresentanza degli intellettuali italiani più conosciuti in Europa e nel mondo.
L’autore, figlio di Paolo, un piccolo proprietario contadino e di Marianna Delle Quadri, tessitrice, trascorse la sua infanzia nella Marsica e dopo la morte del padre prese l’incarico di lavorare al suo posto nei campi in cui operava, sostituendolo con molta dedizione e operosità. Purtroppo però, a causa del sisma del 1915, il paese venne devastato confermando molte vittime, tra cui sua madre e altri suoi familiari che non riuscirono a superare il tragico evento. Tuttavia, Ignazio Silone e suo fratello minore Romolo, riuscirono a salvarsi proseguendo la loro vita insieme alla nonna materna Vincenza. Naturalmente le aspre circostanze segnarono la loro vita in modo duro e deciso e, nelle opere di Silone, affiora chiaramente questo immenso dramma.
Scrisse molti romanzi di grande valenza, ma il più celebre fu “Fontamara” che, nel 2018, venne trascritto interamente da Alleg su di un muro di ottanta metri quadrati sito ad Aielli, lasciando alla bellezza panoramica un contorno di forte impulso formativo. Il testo, composto da duecentoquaranta pagine e tradotto in molte lingue, rappresenta un mezzo denunciatario contro l’ingiustizia e la povertà e, poiché divenne una testimonianza di grandissima autenticità sociale, fu candidato al premio Nobel per la letteratura per ben dieci volte.
Nello specifico, tratta della situazione disagiata degli abitanti risiedenti vicino ad Avezzano che, a causa delle difficoltà economiche, non riuscivano a pagare le bollette e, loro malgrado, non beneficiavano più dell’energia elettrica. Tuttavia, cercarono di ribellarsi ma, il cavalier Pelino, un granduce delle milizie del regime fascista, fece firmare agli abitanti del luogo un foglio bianco con la falsa promessa che, effettuando tale azione, sarebbe stata ripristinata l’elettricità per ognuno di loro.
Inganno che, mediante quelle firme, fece stipulare l’autorizzazione per interrompere l’acqua di irrigazione dei campi e per indirizzarla verso i possedimenti di un imprenditore legato al regime che aveva ottenuto la carica di podestà. Conseguenzialmente i contadini, realizzando di essere stati truffati, cercarono di convincere l’impresario a ridare loro l’acqua, poiché indispensabile per le culture, ma tristemente non ci fu un lieto finale e vennero violentati dai squadristi fascisti inviati a Fontamara dopo una segnalazione di Pelino, recando una vera strage di abitanti.
Purtroppo le più crude violenze sono manifesto di un forte potere insano e, i più deboli, ne circoscrivono il senso del dolore sull’innocenza. Dolore che, certamente, può condurre all’arrendevolezza, nella speranza che sia il destino a farsi avanti col nome della giustizia, ma in realtà, come sosteneva saggiamente Ignazio Silone: “Il destino è un’invenzione della gente fiacca e rassegnata”.