Vini d’Altura è un evento nato per presentare alla stampa di settore un progetto di eccellenza. Si tratta di una preziosa collaborazione tra natura, enologia, gastronomia e accoglienza che vede in prima fila la Cantina Biagi e i suoi vini affinati in alta montagna. Una giornata ospitata dall’Ostello di Campo Imperatore, quota 2115 metri, e dedicata al racconto di un processo di affinamento dei vini che diventa la storia del colloquio ininterrotto che da secoli intercorre tra uomini e un luogo estremo come il Gran Sasso. A preparare il Pranzo di Gala sono stati chiamati gli allievi dell’Accademia Niko Romito, con un menu studiato per l’occasione e per un evento straordinario che ha unito per una giornata molti angoli d’eccellenza d’Abruzzo.
Dopo un aperitivo di benvenuto all’esterno, la conferenza stampa si è svolta all’interno dell’Ostello, esattamente lungo gli scalini del Museo della Funivia del Gran Sasso che ospita ancora la vecchia funivia del 1934. Una vista meravigliosa per un progetto fuori dal comune.
Alla conferenza stampa presentata dalla giornalista e sommelier Serena Specchi erano presenti Luca Biagi e il suo enologo Carmine De Iure, Bruno Carpitella di Pendeche, Fabio Bucciarelli Direttore accademia Niko Romito, Antonio Stroveglia di WolfTour e il direttore dell’Ostello Manuel Del Vecchio.
La Storia
C’è un posto tra le alture di Campo Imperatore in cui vengono affinati i vini. E’ una posizione nota solo agli affinatori, esposta agli eventi atmosferici estremi del Gran Sasso e che custodisce i vini per sei lunghi mesi freddi.
In questo luogo è nata la magia dei vini d’altura.
L’ideatore del progetto vini d’Altura è Bruno Carpitella con la sua azienda Pendeche. Alla fine degli anni ’80 ha iniziato a praticare il riporto delle bottiglie in alta quota in autunno per poi tornare in primavera per ritrovarle e vedere cosa accadeva. Cominciava così a conoscere il vino e ad osservare cosa gli accadeva di particolare. La pratica dell’affinamento in quota di formaggi, salumi e altri prodotti è nota da secoli, ma di vino nemmeno l’ombra.
L’idea di coinvolgere anche le aziende vinicole nel progetto di affinamento in altura è partita nel 2016. Il territorio del Gran Sasso offre spunti ed occasioni ideali in tal senso.
Il primo a credere nel progetto di affinamento in altura è stato Luca Biagi, che nel 2016 portò le prime 12 bottiglie. Era un Trebbiano spumantizzato metodo Martinotti. Dopo un inverno, la bollicina era diventata più sottile, il trebbiano aveva inglobato i sentori di montagna ed era straordinario quello che veniva fuori. Negli anni continuano i tentativi con altre tipologie di vini. Oggi, la cantina Biagi sul Gran Sasso ne affina 2000.
Racconta Bruno Carpitella: “sono stato il primo a credere nel progetto Vini d’Altura e l’ho trovato rigenerante, per me e per i miei vini. Stiamo facendo delle ricerche per capire cosa accade realmente all’interno delle bottiglie: pressione più bassa, ossigeno rarefatto, sbalzi di temperatura, bassissime temperature… cercheremo di indagare con precisione cosa accade alla materia viva vino nel corso della permanenza a queste altitudini”.
Più scettico, ma per dovere professionale, fu inizialmente l’enologo Carmine De Iure che oggi afferma: “i vini effettivamente sembrano ringiovanire, l’affinamento in altura sembra riportare indietro le lancette dell’orologio. Potrebbe accadere che la somma delle cariche elettrostatiche che troviamo in montagna, l’aria ionizzata, influiscano sul processo di affinamento del vino. Sicuramente sotto il profilo dell’integrità e della fragranza questo accade”.
“Un vino che è stabilizzato in cantina naturalmente, portato ad alta quota ed esposto a -3.5°C costanti (con picchi a -20° prima della stabilizzazione) e sottoposto ad uno stress termico, dovrebbe abbassare il punto di precipitazione tartarica. Invece qui in altura non accade nulla di tutto ciò. – ci spiega Luca Biagi – La mediazione del vetro (2000 bottiglie costituiscono una massa importante per l’inerzia termica, come barriera di protezione) contribuisce a proteggere il vino, ma non è sufficiente a giustificare quel che accade al vino. Evidentemente è un concatenarsi di elementi e circostanze che contribuisce a determinare le condizioni che permettono al vino di maturare in questo modo così inedito.
La Masterclass
Vini che cambiano, dicevamo. Quale migliore occasione di confrontare i risultati dell’affinamento in altura se non mettendo a confronto due prodotti nati nello stesso momento che poi hanno preso due strade differenti?
E’ stato questo lo scopo della Masterclass dedicata ai giornalisti e guidata dai sommelier Tito Di Gregorio per l’azienda Biagi e Filippo Fratini per Pendeche.
Il vino degustato è stato il Pecorino Biagi Colli Aprutini Igt 2018, declinato nelle due versioni “di pianura” e “d’altura”.
Base identica, lavorazione identica ma evoluzione diversa. Una prima identità si può rintracciare nel colore, un giallo dorato che in entrambi i casi esprime le note di evoluzione.
Il Pecorino di pianura.
Il pecorino di pianura ci accoglie con note di miele, camomilla, leggerissimo filo di ossidazione che dà complessità al vino. In bocca ha un ingresso morbido, coerente con il naso e una chiusura fresca, con una buona acidità che lascia la sensazione di pulito.
Il Pecorino di montagna.
Il pecorino di montagna ha in comune con l’altro le note dolci, ma risulta più complesso man mano che prende più aria. Dalle note di miele inizia a sviluppare profumi fruttati e note dolci più specifiche. Quel filo di ossidazione che si trovava nel pecorino di pianura, qui vira leggermente verso sorprendenti note sulfuree.
In bocca la differenza è ancora più evidente: l’altura ha un ingresso più forte, fresco per lasciare poi il passo alle consuete note di miele e chiudere con una buona acidità che lo rende più fresco e una buona persistenza.
L’evoluzione tra pianura e montagna ci racconta di una differenza che si concentra principalmente nel naso con una maggiore complessità e in bocca con una ritrovata freschezza a favore del pecorino di montagna.
Ciò che colpisce in modo inequivocabile è che questa complessità dei vini d’altura affinati sul Gran Sasso che abbiamo verificato nel bicchiere non è replicabile. Essendo frutto di sperimentazione, se ne colgono i potenziali che aprono un capitolo nuovo sulle evoluzioni possibili ma la storia è tutta da scrivere (e da bere).
Il Pranzo di Gala
Il Direttore dell’Accademia Niko Romito Fabio Bucciarelli ha raccontato il lavoro svolto dagli allievi al lavoro su un menu elaborato per esaltare le caratteristiche dei vini d’Altura. Per tutti loro, questa è stata la prima esperienza di cucina per un evento.
Nel racconto ci sono molti fattori che accomunano l’Accademia al progetto Vini d’Altura: siamo testimoni di progetti nati in mezzo alle montagne, abbiamo la passione per la ricerca, lo studio, il sacrificio, la perseveranza e un pizzico di follia. Sono caratteristiche che contraddistinguono il lavoro che Niko Romito porta in tutto il mondo. Gli allievi iniziano un percorso di un anno molto intenso, alla cui base c’è la decisione di cambiare totalmente vita.
Il menu è stato studiato con lo Chef, con i docenti dell’Accademia e realizzato in accademia. E’ stato pensato dando il giusto peso alla parte vegetale, parte grassa e dolce, per accompagnare un percorso gastronomico mirato ad esaltare i vini.
Questo il menu con i relativi vini abbinati.
Trebbiano d’Abruzzo DOC 2017
“Pane e cicoria”
Cerasuolo d’Abruzzo DOC 2018
“Spezzatino di melanzana in agrodolce, cipolla rossa, olive nere e capperi”
Pecorino IGT Colli Aprutini 2019
“Raviolo con ricotta di pecora e erbe di campo”
Pecorino IGT Colli Aprutini 2018
“Stufato di agnello con crema di patate e salsa al sedano”
Montepulciano d’Abruzzo DOC 2013
“Pandolce tostato, gelato fior di latte, ciliegie speziate al Montepulciano”