È dei giorni scorsi la notizia che la commissione Antimafia ha iniziato a interessarsi dell’omicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto 1990 nel condominio di via Poma n. 2, a Roma, finora rimasto senza un colpevole. Lunghe e articolate indagini, in tanti anni, non sono infatti approdate, com’è noto, all’individuazione del responsabile del brutale delitto consumatosi nei locali dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù (A.I.A.G.).
Dapprima indagati il portiere dello stabile, Pietrino Vanacore, ed il giovane Federico Valle, nipote dell’architetto che viveva all’ultimo piano del palazzo, entrambi risultati estranei ai fatti; in seguito processato e assolto Raniero Busco, fidanzato di Simonetta all’epoca del delitto.
L’omicidio attende quindi ancora di essere chiarito. E, dal passato, emerge un ulteriore delitto irrisolto, avvenuto nello stesso stabile il 21 ottobre 1984. Vittima, Renata Moscatelli, pensionata di 68 anni, che viveva da sola in un’altra scala del condominio di via Poma n. 2. È stata rivenuta nella camera da letto del suo appartamento, soffocata con un cuscino, dopo essere stata colpita alla testa con una bottiglia di whisky semivuota.
Figlia di un generale dei carabinieri, la donna aveva trascorso tutta la vita in quell’appartamento. Sua sorella Adriana, di qualche anno più giovane, se ne era andata dopo il matrimonio. Renata, nubile, conduceva un’esistenza tranquilla e solitaria, poche conoscenze e rapporti di mera cordialità con i vicini. Molto religiosa, frequentava assiduamente la chiesa di Santa Maria Regina Apostolorum, sita in via Giuseppe Ferrari, a poche centinaia di metri dalla sua abitazione.
E proprio in chiesa si era recata nel tardo pomeriggio di domenica 21 ottobre 1984, prima del suo omicidio. Rientrata in casa, verso le ore 20, aveva telefonato a don Marcello Bolzonello, sacerdote della Compagnia di San Paolo, per chiedergli ospitalità per un suo conoscente.
Il lunedì successivo, Renata era stata invitata a pranzo da un’amica che, non vedendola arrivare verso le ore 13, aveva telefonato a via Poma, senza ricevere risposta e aveva avvertito la sorella di Renata, Adriana.
Il corpo senza vita della Moscatelli verrà ritrovato solo mercoledì 24 ottobre: la porta di casa chiusa con le mandate, le luci dell’appartamento spente e una raccapricciante scia intermittente di sangue sul pavimento fino all’ingresso della camera da letto. Nella stanza, in terra, alcuni cocci di bottiglia e, poco distante, ai piedi del letto, il corpo senza vita della 68enne.
I successivi rilievi della polizia non hanno individuato segni di effrazione. A quanto sembra, però, dallo svuotatasche all’ingresso risultava mancare un mazzo di chiavi, probabilmente impiegate dall’omicida per chiudere dietro di sé la porta dell’appartamento, prima di dileguarsi. Non sembrava fosse stato rubato nulla: risultavano smontate solo delle cornici portaritratto, forse impiegate come possibili nascondigli, ma ciò non è stato appurato.
L’autopsia ha accertato il decesso per asfissia: Renata è stata dapprima colpita e stordita con una bottigliata, poi soffocata con un cuscino. Le indagini non sono approdate a nulla: Adriana, inizialmente sospettata, non è risultata coinvolta nel delitto.
Impossibile non pensare a una eventuale correlazione con l’omicidio di Simonetta Cesaroni, avvenuto nello stesso condominio sei anni dopo, secondo modalità non dissimili.
Come recentemente posto in evidenza da Il Giornale, le analogie tra i due delitti sembrerebbero significative: entrambe le vittime sono state uccise nel medesimo condominio; colpite, entrambe, alla testa per essere stordite: Simonetta aggredita con uno schiaffo, prima di essere trafitta con 29 coltellate, Renata percossa con una bottiglia sulla fronte e successivamente soffocata. In entrambi i casi l’assassino ha utilizzato come arma del delitto un oggetto di fortuna trovato in loco: nel caso di Simonetta un tagliacarte, in quello di Renata un cuscino. Gli appartamenti sono risultati abbastanza in ordine, con pochi oggetti spostati dalla posizione iniziale. Con ogni probabilità, sia Simonetta che Renata conoscevano il loro aggressore o, comunque, lo hanno lasciato entrare liberamente. Dopo l’omicidio, infine, l’assassino ha richiuso la porta d’ingresso con quattro mandate, portando via con sé le chiavi.
Il Giornale riporta, in proposito, il parere di due criminologi. “Inizialmente valutai questa possibilità ma è una ipotesi che ritengo altamente improbabile”, considera Carmelo Lavorino. “Il modus operandi e la firma psicologica del killer è diversa nei due delitti. Certo, sarebbe clamoroso scoprire che si tratti della stessa persona ma non credo sia una pista praticabile”.
“In realtà ciò che distingue i due casi appare il movente: decisamente passionale per Simonetta, economico quello di Renata”, aggiunge Rosa Francesca Capozza.
Così gli specialisti che hanno preso in considerazione questo scenario. Osservazioni, le loro, indubbiamente motivate e pertinenti. A fronte dei moventi vistosamente diversi (quello del delitto Moscatelli, peraltro, solo ipotizzabile) e, aggiungeremmo, di differenti profili vittimologici a rendere improbabile la riconducibilità delle due aggressioni allo stesso soggetto, non possono però ignorarsi, come abbiamo visto, le coincidenze delle modalità operative, dell’impronta comportamentale del soggetto agente, così come ricavabile dall’analisi comparata delle dinamiche del crimine.
Stesso omicida con moventi diversi? Un soggetto che, indotto ad agire, nel 1984 e nel 1990, da diverse motivazioni, da differenti stimoli contingenti, abbia rivelato il medesimo modo di porre in essere un’aggressione, di approcciarsi alle sue vittime? Forse un’ipotesi azzardata. L’auspicio è che il nuovo corso delle indagini sull’omicidio Cesaroni giunga a chiarire almeno una parte dei misteri di via Poma.
Delitto via Poma: al lavoro la commissione Antimafia, si avvicina la verità?