Lanciano. Dolce è il sapore dell’arte profusa in quelle epoche riecheggianti d’infinito e, nelle abitudini trascorse, la dimensione odierna si impasta con quelle narrazioni per non lasciarle tramontare in un confinante e delimitante pensiero finito. Poiché l’arte non ha fine e, mutevole come le nubi, varia le sue forme senza contaminarne le sostanze. Essa, con dono naturale, ci sorprende colmandoci, vibroenergizzando le nostre menti e armonizzandone il nostro spirito.
Nel marzo del 1812, nacque a Lanciano Giuseppe Palizzi un artista dal grande impulso creativo. Tuttavia, attraverso le sue narrazioni pittoriche ci lascia assaporare un passato che non abbiamo vissuto ma che, proprio come il concetto delle nubi riportato antecedentemente, possiamo stabilirne una metrica infinita sulle emozioni dei nostri giorni.
Figlio dell’avvocato e insegnate di lettere e filosofia Antonio Palizzi e di Doralice del Greco, donna di elevata cultura e vicina al mondo della musica poiché, nello specifico, amava suonare il pianoforte, ebbe degli ottimi esempi e, mediante le sane discipline dei genitori, tutti i loro figli ne carpirono il valore dell’arte e del beneficio culturale. Pertanto, anche i fratelli di Giuseppe, ovvero Filippo, Nicola e Francesco Paolo coltivarono un forte interesse per l’ambito artistico-culturale, divenendo bensì, dei famosi pittori.
Giuseppe Palizzi dopo aver maturato un importante percorso artistico ed essersi stabilito in Francia, senza però mai dimenticare le sue origini abruzzesi, morì nel 1888 a Parigi. I suoi quadri, frutto del suo personale nutrimento visivo, riproducono di sovente quei contesti montani legati alla pastorizia, come il dipinto ad olio su tela “Pastorello con pecore” dove, in primo piano, vediamo seduto su un tronco un pastore mentre osserva le sue pecore, mostrando altresì un profilo stanco che lascia all’interpretazione l’idea della sua costante dedizione nella pastorizia. Il cielo, soleggiato come benanche spumoso dalle nubi, movimenta l’operato pittorico con delicatezza e, contrastandone l’impatto pieno dei colori più accesi, crea un equilibrio correlato all’intera produzione.
“Contadinella e polli” è invece un’altra sua opera evocativa che rispecchia quella realtà di ieri, relativa alle donne dedite all’avicoltura. Nella figurazione vediamo una contadina che, tenendo bloccato in vita le estremità di un panno, forma una sorta di sacca posta a mo’ di grembiule, dalla quale ne preleva il grano distribuendolo al suo pollame. Tale visione, racchiude un’analisi molto suggestiva, poiché la donna, come se stesse attuando una danza gitana, innalza le braccia verso il cielo e lasciando cadere a pioggia il grano, ne musica una circostanza leggiadra, proprio come le sue caviglie che avanzano nude tra la natura.
In copertina un autoritratto di Palizzi conquista la scena nel pieno della sua attività identificativa e, riportandolo in fase conclusiva nella sua interezza, ne percepiamo l’importanza degli ambienti naturali che, frutto di una elevata osservazione data dall’autore, caratterizzano i dipinti di esemplare potenza espressiva poiché ne circoscrivono l’integrità del mondo favorendone il beneficio collettivo.