Pescara. “La legge istitutiva del Giorno della Memoria prevede che si organizzino il 27 gennaio di ogni anno ‘cerimonie, iniziative, incontri su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti’. Questa disposizione di legge, però, viene violata perché si parla solo della mostruosa deportazione degli ebrei, e si evita di parlare del prezzo pagato dai deportati politici, a causa della loro dissidenza politica dal regime fascista”.
Lo scrive in una nota l’ex deputato di Sinistra italiana Gianni Melilla, di Pescara, secondo il quale “per dare una idea di cosa stiamo parlando fornisco alcune cifre purtroppo crude e disumane: gli italiani deportati nei campi di sterminio gestiti dalle SS (Auschwitz, Mauthausen, Dachau, ed altri) furono 40mila, di cui 8mila ebrei. Gli altri 32mila erano politici e oppositori a vario titolo del fascismo e del nazismo. Per usare una espressione di Liliana Segre, erano quei coraggiosi che non furono indifferenti rispetto al fascismo”.
“In quei campi di sterminio vennero uccisi 7 mila ebrei italiani e 10.500 dissidenti politici italiani. Tra i deportati c’erano anche 3mila operai soprattutto di Milano, Torino, Genova e La Spezia “scelti” in alcune grandi fabbriche dai fascisti e consegnati ai nazisti perché avevano guidato il grande sciopero del marzo 1944 contro la guerra, gli occupanti nazisti e la Repubblica fascista del nord Italia. Nonostante siano stati decine di migliaia i deportati politici nei campi di sterminio nazisti”, ha concluso Melilla, “essi non vengono ricordati. La Shoah e la deportazione politica furono invece due aspetti della mostruosa scelta genocida e dittatoriale del nazifascismo”.