Pavia. Il caso dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007, per il quale è stato condannato in via definitiva il fidanzato Alberto Stasi ed è attualmente indagato Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, sembra riservare sorprese continue e ripetuti colpi di scena.
Da mesi, giornali e talk show affrontano la vicenda pressoché quotidianamente, spesso discutendo di particolari che riemergono dalle risultanze dell’indagine condotta all’epoca dei fatti che, per ragioni che a molti appaiono incomprensibili, non sarebbero stati adeguatamente presi in considerazione ai fini dell’accertamento della verità.
Fatti e ipotesi
Nei manuali di investigazione si ripetono spesso alcuni assunti fondamentali: che, ad esempio, nell’esaminare la scena del crimine, è necessario adottare tutte le cautele volte a scongiurare il pericolo di compromettere le possibili tracce presenti in loco; che, in sede di raccolta e analisi dei dati (e le tracce sulla scena del crimine rientrano ovviamente in tale categoria) non si deve trascurare nulla; che, conducendo una analisi investigativa di quanto acquisito dalle risultanze dell’indagine, è imprescindibile formulare ogni possibile ipotesi e non concentrarsi su un solo scenario con il rischio, nel percorrerlo a mo’ di preconcetto, di non considerare elementi che, anziché confermarlo, risulterebbero invece idonei a confutarlo.
Il discorso è complesso, implica considerazioni che, oltre ad afferire alle scienze forensi e alla criminologia, chiamano in causa la filosofia della scienza e la psicologia cognitiva. Basti, per sintetizzare il tutto, una nota massima del detective letterario per antonomasia, Sherlock Holmes, secondo il quale non bisognerebbe mai formulare una teoria senza conoscere sufficientemente i fatti: si rischia in tal modo di adattare i fatti alle teorie e non le teorie ai fatti. Sarebbe opportuno che chi investiga studiasse approfonditamente i romanzi ed i racconti di Arthur Conan Doyle: il criminologo e criminalista Edmond Locard, uno dei padri fondatori dell’investigazione scientifica, li consigliava ai suoi allievi ritenendoli magistrali esempi di come impostare correttamente un’attività di indagine.
Una donna sconosciuta sulla scena del crimine?
Fatta questa premessa, torniamo al caso di Garlasco. Dicevamo: la vicenda, in questi mesi, riserva spesso sorprese o, più precisamente, dovremmo dire che le sorprese le riserva l’indagine condotta a ridosso dei fatti. L’ultima, in ordine di tempo (ma siamo pressoché certi che, nei prossimi giorni, se ne registreranno di ulteriori) è questa: il Tempo riferisce che, dagli atti di allora, riemerge un Dna femminile, presente su punti significativi della scena del crimine e non appartenente a Chiara Poggi.
Sembra si tratti di materiale genetico repertato nel corso dei primi sopralluoghi sul locus commissi delicti condotti all’epoca dal Ris di Parma. Tracce individuate sul pomello della porta a soffietto della tavernetta della villetta dei Poggi, dove è stato gettato il corpo di Chiara; sulla leva del miscelatore del lavabo in bagno, dove, secondo la sentenza che ha condannato Alberto Stasi, questi si sarebbe ripulito del sangue dopo aver ucciso la fidanzata; sulla maniglia interna della porta di ingresso dell’abitazione, poco sotto l’impronta n. 10, che si suppone lasciata da uno degli aggressori in fuga.
Come detto, tale Dna femminile non appartiene a Chiara: lo attesta la classificazione contenuta a pag. 145 della relazione “biodattilo”, redatta nel 2007 dal summenzionato Ris di Parma, che appunto menziona, come profili genetici non riconducibili alla giovane uccisa, il reperto sulla “maniglia porta a soffietto” (n. 57), quello sulla “leva miscelatore bagno” (n. 59) e quello sulla “maniglia porta di ingresso” (n. 60).
Detto profilo femminile è stato amplificato per tentare di identificarne la sequenza genetica, ma l’esito dell’analisi è risultato negativo: la caratterizzazione del Dna non è quindi approdata a risultati utili, probabilmente a causa di un numero di marcatori inferiori agli standard minimi per l’attribuzione. Sebbene il codice genetico fosse insufficiente a individuare una compatibilità, avrebbe però potuto essere comparato – per esclusione – con i tamponi salivari allora prelevati a tutte le persone di sesso femminile che avevano frequentato casa Poggi nei giorni precedenti al delitto.
Sarebbero stati insomma opportuni degli approfondimenti, attesa tra l’altro la collocazione delle tracce in questione, su oggetti e punti della scena che si ritenevano direttamente correlati con l’iter criminis.
Alberto Stasi ha dichiarato all’epoca di aver trovato chiusa la porta a soffietto che conduceva alla taverna e che, per imbattersi nel corpo senza vita di Chiara, aveva dovuto aprirla. Nel 2007, i Ris hanno persino smontato il battente per poterlo analizzare con la massima attenzione. In esito all’esame sono emerse le impronte digitali di Marco Poggi, due impronte digitali e una palmare non attribuite e, sulla maniglia, appunto il predetto Dna femminile, tutt’ora ignoto. Curiosamente, dall’oggetto risultano assenti impronte di Stasi, come del resto non sono state trovate tracce dell’attuale condannato sulla maniglia della porta di casa, che l’omicida avrebbe aperto e richiuso dietro di sé nel dileguarsi dal luogo del delitto.
Discrepanze
In questi giorni è emersa peraltro una ulteriore “anomalia” delle indagini del 2007. Nel corso di una recente puntata della trasmissione Zona bianca, in onda su Rete 4, si è parlato di una singolare discrepanza nel contenuto di due “Annotazioni di Polizia giudiziaria” redatte dai Carabinieri di Vigevano e dai Ris il giorno del delitto durante la loro permanenza presso la villetta dei Poggi. Verbali scritti lo stesso giorno e alla stessa ora, con intestazioni identiche. Ma con le firme in calce invertite in uno rispetto all’altro. Oltre a ciò, si è constatato che uno dei due verbali omette di menzionare alcuni dati significativi, come la seguente annotazione, presente nell’altro: “entravamo senza i calzari, con indosso le scarpe di servizio.”
Gli organi di stampa non hanno mancato di riportare i commenti degli ospiti presenti in trasmissione. “Mi si spiega perché due verbali identici hanno le firme invertite e riferiscono particolari antitetici?”, ha chiesto l’avvocato Antonio De Rensis, uno dei legali di Alberto Stasi, “Certamente è dovuto a stanchezza…”