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Garlasco, nuova ipotesi sulla dinamica dell’omicidio scagiona Alberto Stasi?

Luca Marrone di Luca Marrone
5 Novembre 2025
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Pavia. Se ne è parlato per un po’, ma le aspettative che l’iniziale notizia aveva giustificato sembrano, per il momento, tramontate: qualcuno sarebbe stato in procinto di confermare, in modo definitivo, diremmo irreversibile, il fatto che il noto scontrino del parcheggio di Vigevano prodotto come alibi da Andrea Sempio – attuale indagato per l’omicidio di Chiara Poggi avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007 – non sarebbe stato effettivamente scagionante. I media, com’era prevedibile, hanno richiamato la consueta categoria del “supertestimone”. “Secondo le fonti, si tratterebbe di un parente vicino alla famiglia Sempio, ma la Procura lo considera molto attendibile”, si legge sul Secolo d’Italia.

In breve, sembra che costui non si sia presentato alle autorità per riferire quanto sopra e le voci della sua esistenza sono state smentite dagli stessi inquirenti. Chi ha inventato tutto ciò e perché?

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Uno scenario alternativo

In ogni caso, privati di un possibile “supertestimone”, quei lettori-spettatori che seguono l’evolversi della vicenda con la trepidante curiosità che si riserva agli sviluppi di una serie tv, si sono ben presto consolati con una “superconsulenza”.

La notizia, diffusa in primis dal Giornale, viene presentata come clamorosa. Sarebbero trapelate indiscrezioni sulla consulenza tecnica alla quale si sta attualmente dedicando l’antropologa forense Cristina Cattaneo che, rielaborando i dati disponibili e facendo ricorso a elaborate analisi antropometriche, potrebbe riscrivere la dinamica dell’omicidio, i tempi in cui si sarebbe svolta ed escludere il coinvolgimento di Alberto Stasi, condannato in via definitiva per il delitto a sedici anni di reclusione.

Secondo il Giornale, dunque, l’omicidio non sarebbe avvenuto “in una sola fase ma in più momenti distinti” e, nel corso dell’iter criminis, Chiara Poggi avrebbe avuto il tempo di tentare di difendersi. Il che renderebbe necessario riconsiderare l’epoca della morte, che la sentenza di condanna ha fissato tra le 9,12 (ora in cui risulta essere stato staccato il sistema di allarme di casa Poggi) e le 9,35 (ora in cui è stato riacceso il computer di Alberto Stasi). Ventitré minuti entro cui l’offender avrebbe dovuto uccidere Chiara, lavarsi del sangue della vittima, uscire da casa Poggi, raggiungere la bicicletta con la quale era venuto, tornare a casa sua e ricominciare a lavorare alla tesi di laurea. Secondo la nuova interpretazione, il decesso sarebbe invece insorto verso le 11 del mattino: una ricostruzione alternativa che evidentemente scagionerebbe Alberto Stasi.

Del resto, l’ipotesi recepita in sentenza non ha mancato, ben prima della nuova inchiesta, di sollecitare numerose perplessità: una tempistica tanto ristretta (giudicata “difficile ma possibile”) avrebbe infatti dovuto ricomprendere non solo l’azione omicida in sé – 1) un litigio, 2) il primo colpo inferto alla ragazza vicino alle scale del salone, 3) il trascinamento della vittima verso la cantina, 4) successivi colpi con un oggetto contundente che determinano lo sfondamento del cranio – ma anche momenti di inerzia. Vediamo: 1) in seguito al primo colpo inferto, si forma una pozza ematica, il che richiede alcuni minuti; 2) compiuto il delitto, sempre secondo la ricostruzione ufficiale, l’omicida si siede sul divano, lasciando trascorrere ulteriori minuti, nel corso dei quali il sangue presente sull’arma cola sul pavimento, creando delle macchie; 3) l’assassino raggiunge il bagno, dove si lava accuratamente, rimuovendo le tracce ematiche anche dal lavandino, dal sifone e dal dispenser del sapone.

A ciò si aggiunga il percorso compiuto dall’aggressore per tornare a casa, per coprire il quale sono necessari almeno otto minuti. Dunque, nella ricostruzione posta a fondamento della condanna, l’azione omicida all’interno della casa, si sarebbe dovuta esaurire in soli quindici minuti, compresi i tempi “morti” che hanno permesso il formarsi delle predette macchie di sangue e la permanenza dell’omicida in bagno.

A titolo personale, concordiamo con chi ritiene del tutto destituito di fondamento lo scenario in questione. Che oggi, se le indiscrezioni cui abbiamo accennato dovessero ricevere conferma, potrebbe essere definitivamente invalidato dai nuovi accertamenti in corso.

Più persone sulla scena del crimine?

Non mancano, comunque, voci contrarie all’ipotesi che l’omicidio sia avvenuto in più fasi, secondo modalità tali da consentire alla vittima di tentare di difendersi.

Nel corso di una recente puntata della trasmissione In Onda, su La7, il medico legale Francesco Maria Avato, già consulente della difesa di Stasi, ha negato tale possibilità: “Lo sfacelo cranico era ampio. Anche altre perizie hanno confermato un decesso istantaneo: colpita, caduta e morta”, ha spiegato. “Non ci sono pozze di sangue che facciano pensare a movimenti agonici.”

D’altra parte, Avato ha prospettato la possibilità che sulla scena del crimine non vi fosse un solo soggetto. “Riguardo alla foto delle sedie attorno al tavolo della cucina”, ha osservato, “fu chiaramente possibile che vi fossero più persone attorno a quel tavolo. Non ho valorizzato questo aspetto, perché si tratta di un elemento soggetto a controversie, ma la disposizione potrebbe lasciare intendere una presenza multipla.”

A proposito delle impronte presenti sul locus commissi delicti, il professor Avato ha aggiunto: “C’era l’impronta di una sola scarpa, non due. Questo può suggerire che la condotta nel trasferimento del corpo non fosse paritaria: chi sollevava la vittima dalla parte superiore del corpo potrebbe essersi sporcato poco o niente, evitando il contatto diretto con il sangue. Bisogna considerare che dorso e gambe di Chiara Poggi risultavano puliti.”

Baby Tonfa

Un altro aspetto controverso della vicenda è l’arma del delitto, mai individuata. In particolare, oggetto di ipotesi e congetture è stata una ferita alla tempia sinistra di Chiara Poggi, una sorta di foro dal diametro molto ristretto. Alcuni mesi fa, il criminalista Enrico Manieri ha ipotizzato che la traccia potrebbe essere conseguenza del contatto con un portavaso in ferro battuto presente sulla scena del crimine. Secondo tale interpretazione, Chiara non sarebbe stata direttamente colpita dall’oggetto, ma potrebbe esservi venuta a contatto nel corso dell’aggressione.

Nei giorni scorsi, la professoressa Luisa Regimenti, medico legale e docente presso l’università Tor Vergata di Roma, ha prospettato un’ipotesi alternativa: nel 2010, tre anni dopo il delitto, l’indagato Andrea Sempio ha iniziato a praticare il Krav Maga, un metodo di difesa personale israeliano, divenendone istruttore nel 2013. “Quando ho visto il Baby Tonfa, un oggetto metallico appuntito dai contorni tondeggianti, tipico del Krav Maga, non ho avuto più dubbi: c’è una perfetta compatibilità con la lesione nella regione temporale della povera Chiara”, ha dichiarato la professoressa Regimenti.

Delle dimensioni di un portachiavi, provvisto di una corta impugnatura laterale e di una testa rigida per colpire con forza concentrata, il Baby Tonfa è uno strumento da autodifesa, versione ridotta del Tonfa tradizionale, usato nelle forze di polizia e appunto in discipline come il Krav Maga.

Lo si può facilmente nascondere nel palmo di una mano e consente di sferrare colpi brevi e precisi. Viene definito un “moltiplicatore di forza”, non è comunque un corpo contundente né un’arma da taglio. La piccola e netta ferita riscontrata sulla tempia della vittima è davvero compatibile con la punta arrotondata dello strumento in questione? Si tratta davvero di un elemento potenzialmente idoneo a supportare le accuse nei confronti di Sempio? Ce lo dirà forse il prosieguo dell’indagine.

Accusa di corruzione

Nel frattempo, gli organi di stampa hanno dato particolare risalto anche al fatto che Giuseppe Sempio, il padre di Andrea, è stato recentemente iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Brescia per l’ipotizzato reato di corruzione. Secondo l’assunto accusatorio, avrebbe versato 20-30.000 Euro all’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, per archiviare l’indagine avviata nei confronti del figlio nel 2017 relativamente al delitto Poggi.

Com’è noto, uno degli elementi posti a fondamento dell’ipotesi di reato sarebbe un biglietto rinvenuto in casa Sempio all’esito di una perquisizione, su cui Giuseppe aveva annotato: “Venditti gip archivia x 20-30 Euro”. Continuiamo a ritenere insolito il fatto che qualcuno ritenga di annotare a mo’ di promemoria l’intendimento di corrompere un organo giudiziario e che conservi accuratamente in casa, per ben sette anni, tale annotazione. Se il testo intende inoltre riferirsi al predetto Mario Venditti, contiene un’imprecisione di non poco conto: nel 2017, all’epoca del fatto contestato, questi non era Giudice per le indagini preliminari. Da dimostrare, infine, che l’estensore della nota, nello scrivere 20-30 Euro, abbia inteso indicare, come sostiene la Procura, 20-30.000 Euro.

Giuseppe Sempio ribadisce che i soldi menzionati in alcune intercettazioni sarebbero serviti per pagare in contanti – senza ricevuta – il pool difensivo che allora assisteva suo figlio. E, in una recente intervista rilasciata a Quarto grado, Andrea ha affermato che l’annotazione sul biglietto si riferisse al costo di alcune marche da bollo: “Quando intende migliaia mio padre scrive in migliaia”, ha concluso.

Il Procuratore di Brescia Francesco Prete e la Pm Claudia Moregola hanno comunque incaricato il consulente tecnico Matteo Ghigho di procedere “all’estrazione di copia forense dei contenuti dei dispositivi e dei supporti” già sequestrati a Giuseppe Sempio e a Mario Venditti. L’attività affidata al consulente sarà “estesa sia ai dati presenti che a quelli eventualmente cancellati, mediante applicativi in grado di garantire l’integrità dei dati, riversando i dati così estratti in un apposito supporto (cosiddetta copia- mezzo), di cui autorizza sin d’ora l’acquisto.”

Il “sistema Pavia”

È il punto in cui la nuova indagine sul delitto di Chiara Poggi si innesta nella più ampia inchiesta volta a scandagliare un intreccio di rapporti e presunti illeciti che avrebbe coinvolto esponenti della magistratura, delle forze dell’ordine, dell’imprenditoria e della politica nella provincia pavese, un ipotizzato sistema di potere e favori radicato nel territorio.

In tale ambito, il 30 luglio 2025, la Guardia di Finanza ha chiesto di effettuare “mirati accertamenti bancari” nei confronti di diciotto persone, tra le quali Fabio Lambertucci, il giudice che nel 2017, su richiesta dell’allora procuratore aggiunto Mario Venditti, ha archiviato la posizione di Andrea Sempio. Nella lista, anche Paola e Stefania Cappa, figlie dell’avvocato Ermanno Cappa e cugine di Chiara Poggi.

L’annotazione successiva, redatta a settembre e relativa alle verifiche effettivamente eseguite, omette di menzionare proprio i nominativi di Lambertucci e delle gemelle Cappa. Perché non riportarli all’esito dei controlli effettuati? Forse perché questi hanno dato esito negativo? Nelle stesse carte, però, si dà esplicitamente conto delle analisi sui conti di Venditti, dalle quali “non emergono anomalie”.

Tags: Chiara PoggiDelitto di Garlasco
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