Pavia. Proseguono le nuove indagini sul delitto di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007, tra nuovi accertamenti, riesame di tracce risalenti, ipotesi, suggestioni e persino “sogni”. Un percorso di certo impervio per i magistrati, per gli investigatori, per gli avvocati che assistono il nuovo indagato, la famiglia della vittima e Alberto Stasi, condannato in via definitiva per l’omicidio. E per i giornalisti, chiamati affannosamente a dar conto dei continui, frenetici sviluppi della vicenda, che stanno via via componendo un vasto e inquietante “ritratto di provincia in rosso”, come recita il titolo di un suggestivo romanzo di Paolo Levi.
“Ho fatto un sogno”
Partiamo, senza pretese di ordine e sistematicità, proprio dal “sogno” che uno dei legali che difendono l’attuale indagato, Andrea Sempio, ha sostenuto di aver fatto. Nel corso di un’intervista, l’avvocato Massimo Lovati, ha posto in correlazione la morte di Chiara Poggi con quanto accadeva all’ombra del santuario della Madonna della Bozzola, poco distante da Garlasco.
Riemerge, dunque, l’inchiesta su uno scandalo verificatosi anni dopo la morte di Chiara. Due romeni, Flavius Savu e Florin Tanasie, adescano don Gregorio Vitali, allora rettore del santuario nonché esorcista. Lo filmano in situazioni compromettenti di carattere sessuale. Lo ricattano, chiedendogli 250 mila Euro per non diffondere il materiale compromettente di cui sono in possesso. Don Gregorio cede, ripetutamente. Poi, trova il coraggio di denunciare il tutto, nonostante le conseguenze che, per lui, potranno derivarne. Prende vita un’inchiesta, che conduce all’individuazione dei ricattatori, condannati infine, nel 2014, dal Tribunale di Pavia per estorsione aggravata. Al momento della condanna, i due risultano irreperibili e sono tutt’ora latitanti. A don Gregorio viene proibito di celebrare la messa in pubblico. Vicenda magari non troppo edificante ma di molto successiva al delitto di Chiara Poggi. Perché dunque si ipotizza che quest’ultimo potrebbe avere una qualche relazione con essa?
Voci di popolo ponevano invero da tempo il santuario in relazione con prassi non esattamente conformi a quanto di solito ci si aspetterebbe di trovare in un luogo sacro. Si parlava di pedofilia, esoterismo, di riti satanici, etc. Ma le voci di popolo, è noto, non brillano sempre per obbiettività e aderenza ai fatti e si imporrebbero delle verifiche. Nella sentenza di condanna dei ricattatori, viene riportato tra l’altro l’interrogatorio di don Paolo Scevola, una sorta di pm del Vaticano, a uno dei due, Florin Tanasie. Si menzionano filmati, registrazioni audio, pratiche orgiastiche e denaro. “Chi partecipa di solito?”, chiede don Paolo. “Don Gregorio”. “Con più giovani?” “Ci vanno anche donne, due donne, però io quelle non le ho viste, non ho la prova…. giovani, giovani.” “Maggiorenni o minorenni?” “Minorenni no”, precisa il romeno, per quanto a sua conoscenza.
Nella sentenza, riporta il Corriere della Sera, vengono nominati anche l’allora sindaco di Garlasco, Pietro Farina, e l’avvocato Massimo Lovati, il legale che ha “sognato” la correlazione tra i “giri” del Santuario e la morte di Chiara. Si precisa, ovviamente, che costoro nulla avevano a che vedere con festini e altre amenità: si sarebbero piuttosto adoperati per cercare di risolvere la faccenda. Lovati, in particolare, aveva predisposto delle “attestazioni di pagamento come atti di ricevuta per terapie medico sanitarie offerte dal santuario della Bozzola” a favore di Flavius Savu, per giustificare le avvenute erogazioni di denaro.
Ebbene, lo stesso Lovati, lo abbiamo già considerato in precedenza, ritiene che Chiara Poggi potrebbe aver scoperto un qualche genere di segreto proprio relativo a pratiche sessuali nell’ambito del santuario ed essere stata uccisa da un “sicario” assoldato per tacitarla. Un’ipotesi (anzi, si diceva, un sogno) che nascerebbe dalla profonda conoscenza che il legale ha della zona e delle sue peculiarità, diremmo, socio-antropologiche.
Chi frequentava il santuario?
In questi giorni non è mancato chi si è chiesto se il noto santuario fosse frequentato da Chiara; da Alberto Stasi, il fidanzato della vittima; da Andrea Sempio, l’attuale, nuovo indagato; in generale, dalla comitiva di cui i ragazzi facevano parte. E non è mancato un presunto testimone che, nel corso di una recente puntata di Mattino 5, ha dichiarato in proposito: “Li ho visti? Di sfuggita Chiara Poggi, Sempio più volte. Al bar, magari dentro, insieme con la compagnia così. Non sono mai stato a curiosare quello che facevano, perché non… Si viene a pregare poi per il resto uno viene qua, ascolta le funzioni e le celebrazioni. Altre cose penso non si possano fare.”
La replica dei legali di Sempio è giunta a stretto giro. “Abbiamo richiesto (solo per ulteriore scrupolo e precisione) ad Andrea Sempio se egli fosse mai stato al Santuario della Madonna della Bozzola e lui ci ha confermato por l’ennesima volta di non essere mai entrato in quel Santuario, di non aver mai frequentato il giro delle Bozzole e di non aver mai nemmeno conosciuto Don Gregorio. Il nostro assistito precisa pure di essere andato due volte alla frazione delle Bozzole (non al Santuario) in quegli anni con amici in occasione del lunedì di Pasqua in quanto in quella occasione si trovava in piazza un mercatino con varie bancarelle, tra le quali per esempio di antiquariato, libri usati e vinili.”
Certo, il testimone si riferisce al 2007: in tanti anni, il suo ricordo potrebbe essere stato alterato e distorto da numerosi fattori e, allora, l’aspetto di Sempio era decisamente diverso da quello attuale.
E per quanto riguarda gli altri giovani della comitiva? Sembra che, nel corso della prima indagine, siano andate perdute alcune fotografie che ritraevano Chiara e Alberto Stasi durante una gita in bicicletta al santuario.
Ricerche, cellulari e due “piccioni”
Nei prossimi giorni, la Procura di Pavia acquisirà gli atti dell’inchiesta sul ricatto a don Gregorio. Certo, per il momento, una possibile, diretta correlazione tra le “voci” relative al santuario e la morte di Chiara non sembrerebbe essere emersa. I dati certi finora acclarati sono appunto lo scandalo del 2014 e il fatto che, poco prima di essere uccisa, la giovane aveva effettuato su Internet ricerche relative alla pedofilia, all’anoressia (forse proprio in correlazione con gli abusi subiti nell’infanzia) e a delitti irrisolti: ricerche che, a quanto riportano certi quotidiani, nulla avrebbero avuto a che fare con i suoi studi, i suoi abituali interessi e il suo lavoro.
A proposito di quest’ultimo, non è escluso che gli inquirenti decidano di interrogare anche gli ex colleghi della ventiseienne uccisa, che nel 2007 lavorava come impiegata in un’azienda di via Savona a Milano. All’epoca della prima indagine, una compagna d’ufficio, Francesca Di Mauro, aveva riferito che Chiara sarebbe stata in possesso di due cellulari (un Nokia azzurro e un altro descritto come “apribile e di piccole dimensioni”) e menzionato sue presunte amicizie milanesi, elementi di cui, nel resto dell’indagine, non si troverebbe ulteriore traccia. E, in tema di frequentazioni, in una mail inviata a Cristina Tosi il 5 luglio, Chiara aveva scritto: “I miei intrallazzi stanno vivendo un periodo di stasi… il mio piccione al telefono dà sempre soddisfazioni mentre l’altro ultimamente non ci vado troppo d’accordo.” Asserzione di cui riteniamo dovrebbe effettuarsi adeguata valutazione, perché potenzialmente idonea a fornire indicazioni sul profilo della vittima, sulle sue frequentazioni e su chi potrebbe aver avuto un movente per l’omicidio, ancora non chiaramente individuato.
Per quanto riguarda il summenzionato Nokia azzurro, conteneva cinque contatti telefonici dello zio Ermanno Cappa, l’avvocato padre delle gemelle Paola e Stefania, cugine dell’uccisa: tre numeri dello studio e due cellulari. I giornali riportano che lo stesso zio disponeva, in quei giorni, di uno dei due mazzi esistenti delle chiavi di casa Poggi, provvisti del telecomando per disattivare l’allarme della villetta (che, lo sappiamo, il 13 agosto risulta essere stato disinserito alle 9,12: da Chiara?). In partenza per le vacanze, Giuseppe Poggi, padre della vittima, lo aveva affidato alla sorella Maria Rosa, moglie di Ermanno, per innaffiare le piante. Ma Ermanno Cappa afferma di non aver mai utilizzato le chiavi proprio perché sapeva che Chiara era rimasta in casa, non avendo seguito in vacanza il resto della famiglia.
I contatti telefonici di Sempio
Certo, il fatto che l’indagine abbia a oggetto fatti e tracce risalenti, non può ovviamente che renderla di estrema complessità. Il che appare evidente anche per ciò che riguarda il tentativo di chiarire il contenuto dei contatti telefonici che Andrea Sempio avrebbe avuto con gli amici il giorno del delitto.
La mattina del 13 agosto 2007, tra le 9,58 e le 12,18, il giovane avrebbe infatti contattato sei volte Mattia Capra e Roberto Freddi, della cerchia di amici di Marco Poggi, fratello della vittima, e di Angela Taccia, oggi legale dello stesso Sempio, insieme all’avvocato Lovati. Anche di tali contatti, secondo la Stampa, non vi sarebbe traccia nei verbali delle prime indagini. La ricostruzione dei fatti effettuata nel secondo processo ad Alberto Stasi ipotizza che Chiara Poggi sia stata uccisa tra le 9,12 (l’ora in cui è stato staccato l’allarme dell’abitazione), e le 9,36, quando Alberto Stasi ha iniziato a lavorare alla tesi di laurea, al suo computer. Oggi, per la Procura di Pavia, sarebbe necessario considerare un lasso di tempo decisamente più ampio, dalle 7 di mattina alle 14. Poi, ulteriore messaggio di Sempio alle 12,18. Nel frattempo, verso le 12.17, Sempio ha nuovamente telefonato a Capra.
Si dirà: innocui contatti telefonici di amici che interagiscono quotidianamente. Secondo gli investigatori, spiega Open, potrebbero però delineare una pista ben precisa. Analizzare quelle telefonate è complesso perché, nel 2007, erano stati richiesti solo i tabulati del cellulare di Alberto Stasi. Ci si dovrà accontentare di quelli generici della cella di Garlasco, che sembra abbia già permesso di acquisire elementi potenzialmente utili. All’epoca, in sede di indagine, Freddi e Capra avevano riferito di essere rimasti a Garlasco il 13 agosto 2007. Dai predetti tabulati risulterebbe invece che entrambi siano usciti dal paese poco prima delle 10 per poi tornarvi più tardi: Freddi alle 11,10, Capra alle 12,12. Altro dato da considerare: alle 11.25 Sempio ha ricevuto al cellulare una chiamata dal telefono di casa.
Gli esami su “33 dattilo”
Si torna, poi, a parlare dell’impronta palmare presente sul muro delle scale che, nella villetta dei Poggi, conduceva nella tavernetta. È ormai nota come “Impronta 33”. Oggi, secondo la Procura, sarebbe attribuibile ad Andrea Sempio. Esaminata nel 2007 dal Ris di Parma, nel tentativo di individuarvi tracce di Dna, non è stata ritenuta utile per l’indagine: in termini tecnici si è parlato di campione “inibito”. Nel corso degli accertamenti di allora, i tecnici della scientifica hanno prelevato, con un bisturi sterile, “frammenti di intonaco relativi alla parete destra delle scale della cantina sui quali era deposta un’impronta di materiale verosimilmente ematico.” Detti frammenti sono stati quindi collocati in una provetta contrassegnata dalla scritta “33 dattilo”.
Subito esclusa all’epoca la possibilità che sull’impronta vi fosse del sangue: “una frazione del materiale è stato saggiato al combur test con esito dubbio; si è deciso quindi di operare un obti test (più sensibile per il sangue umano, ndr) che anch’esso ha fornito un esito negativo.” I test richiamati sono tutt’ora quelli maggiormente affidabili.
Il Ris di Parma ha sottoposto il contenuto della provetta “33 dattilo” a ulteriori analisi. In una relazione resa nota da Adnkronos si legge: “Data la scarsa presenza di materiale, vengono inviati nella loro interezza ai processi estrattivi. Si concorda di conservare quota parte dell’eluito per successive ed eventuali controanalisi.” Gli approfondimenti sono stati compiuti alla presenza dei consulenti della difesa di Stasi, con la formula dell’accertamento irripetibile ed è lecito ipotizzare che sia stato impiegato tutti il materiale disponibile.
Prelievi di Dna
Ai fini dell’incidente probatorio fissato per il 17 giugno, si sottoporranno a prelievo del Dna, in una clinica di Milano, le gemelle Paola e Stefania Cappa; Marco Panzarasa, amico della vittima e di Alberto Stasi; gli amici di Marco Poggi, fratello di Chiara; il medico legale che ha esaminato il cadavere e alcuni investigatori. Il Gip ha autorizzato l’inserimento, nella lista, di ulteriori nominativi, in esito alle valutazioni dei consulenti di parte e degli avvocati. Si procederà alla comparazione delle tracce genetiche prelevate con quelle a suo tempo recuperate sulle unghie della vittima e sulla scena del crimine.
Dall’autopsia
Il riesame delle risultanze investigative del 2007 ha permesso anche il recupero dell’autopsia sui resti mortali di Chiara Poggi. Affidata al medico legale Marco Ballardini, ha accertato che, la mattina del 13 agosto 2007, la giovane è morta per “lacerazione dell’encefalo contestuale alla frattura con sfondamento del cranio.” A provocare il decesso, “meccanismi contusivi reiterati apportati mediante corpo contundente.” Sulla vittima qualcuno ha infierito impiegando “uno strumento pesante, vibrato con notevole forza.” L’arma impiegata doveva avere “per lo meno uno spigolo netto” impiegato solo contro la testa della giovane.
Presenti ferite sul volto. Le “lesioni ecchimotico-escoriate” potevano scaturire da “azioni violente mediante l’utilizzo di mezzi contundenti naturali.” Si ipotizza che, prima dell’omicidio, possa essersi verificata una lite, nel corso della quale Chiara avrebbe potuto essere presa a pugni.
L’esame autoptico pone poi in evidenza una ferita sulla coscia sinistra di Chiara. Secondo la relazione del medico legale, la si potrebbe ricondurre “a un calettamento violento dal tacco o dalla punta di una scarpa.” È decisamente improbabile che tali segni possano ricondursi all’impronta della scarpa Frau attribuita a Stasi, risulterebbero piuttosto compatibili con una calzatura femminile. È una donna la responsabile della morte di Chiara? O, sulla scena, insieme all’assassino, vi era anche una complice?
E in che misura tutto questo appare effettivamente coerente con quanto recepito nelle sentenze che hanno definito il giudizio?
In ogni caso, a quanto si legge nel referto autoptico, la giovane non avrebbe avuto il modo e il tempo di difendersi dall’aggressione. Sul corpo, “scarsamente efficaci o anche assenti tentativi di difesa della Poggi, quantomeno nella fase in cui era colpita al capo.” Le contusioni su braccia e gambe “potrebbero essere espressione di caduta durante un possibile tentativo di fuga.”
Vestiti insanguinati?
Dopo il delitto, in un canale tra i campi di Garlasco e la vicina Tromello, un agricoltore e sua moglie hanno rinvenuto una borsa di plastica contenente dei vestiti sporchi. Li hanno consegnati ai Carabinieri che li hanno inviati al Ris di Parma per le necessarie analisi.
Dopo tanti anni, la donna, Cristina, ha riferito la circostanza a Mattino 5: “Ho trovato dei vestiti sporchi di rosso e ho visto che erano griffati, c’era anche un paio di scarpe. Mi sono incuriosita e ho chiamato le forze dell’ordine.”
Precisamente: due pantaloni, uno di jeans neri e un pantalone beige marca “Marlboro”, un paio di leggins da donna e due canottiere. Secondo le analisi, sui primi due non sono state rinvenute tracce significative. I leggins e le canottiere avrebbero invece reagito positivamente al luminol, impiegato nella ricerca di tracce di sangue (ma può reagire anche con altre sostanze, rendendo realistico il rischio di falsi positivi).
Dalla relazione tecnica relativa ai leggins: “Il reperto è stato ispezionato tramite l’ausilio della crimescope e successivamente nebulizzato con luminol. È emersa un’area reattiva al luminol sulla gamba destra, posteriormente, oggetto di prelievo (campione Pant_B1). Sia l’area descritta, sia le tracce di dubbia natura sono state testate con il combur test e hanno fornito esito negativo.”
Le canottiere, nella relazione del Ris: “sporche di terriccio e di tracce di varia natura. La canottiera classificata F presenta una traccia di colore rossastro. I reperti sono stati ispezionati tramite l’ausilio della crimescope e successivamente nebulizzati con luminol; sono emerse due ristrette aree di circa 5 mm di diametro sulla canottiera classificata F oggetto di unico prelievo. Tutte le tracce di dubbia natura, quelle rossastre e quelle risultate positive al luminol, sono state testate con il combur test che ha fornito esito negativo.”
Le scarpe, da uomo: “Reperto ‘scarpe fiume’ (già rep. G): n.1 paio di scarpe di colore marrone, recanti varie tracce brunastre di dubbia natura. Il reperto è stato nebulizzato con luminol e sono emerse due aree di luminescenza: una sulla suola della scarpa destra e una su quella sinistra, entrambe oggetto di un unico prelievo (campione scarpe_fiume). Sia le tracce di dubbia natura, sia quelle evidenziate dal luminol sono state testate con il combur test ed hanno reagito negativamente.”
Elementi da porre in correlazione con il delitto? Qualcuno, dopo aver ucciso Chiara, si è disfatto di quanto legato all’aggressione? Sarebbe ovviamente di estremo interesse poter analizzare di nuovo i menzionati reperti. Distrutti, dopo la condanna definitiva di Alberto Stasi.
Una misteriosa telefonata
13 agosto 2007, ore 10,34. Forse l’omicidio era già stato commesso, forse no (quale diagnosi di epoca della morte dobbiamo davvero prendere per buona?). Le gemelle Paola e Stefania Cappa erano a casa, secondo la ricostruzione diffusa in questi giorni dagli organi di stampa. Paola era in convalescenza in seguito a un intervento chirurgico per la frattura del piatto tibiale, indossava un tutore. Due giorni prima aveva tentato il suicidio. Stefania aveva studiato fino alle 9,30 e parlato al telefono con un’amica fino alle 10,20 circa. Quattordici minuti dopo sembrerebbe essere giunta un’altra telefonata. Il numero di un cellulare che iniziava con “335” ed era intestato a “Farina s.r.l.”.
“Non ricordo di aver fatto altre chiamate oltre quella a Lucrezia, né di averne ricevute”, ha dichiarato in seguito Stefania Cappa ai Carabinieri che le mostravano i tabulati (verbale del 7 febbraio 2008). “Il numero 335 non so chi appartenga. Il nome ‘Farina s.r.l.’ non mi dice nulla.”
La telefonata è durata trentatré secondi. “Se la telefonata è stata così breve devo avere risposto e messo giù. Non so con chi possa avere parlato se ho risposto io”, ha considerato Stefania Cappa.
L’azienda Farina s.r.l., con sede a Garlasco, produceva e produce tutt’ora, tra l’altro, dispositivi ortopedici e medicali, compresi i tutori. Il tutore che Paola indossava proprio in quel momento, è stato sequestrato solo il 13 febbraio 2008, sei mesi dopo il delitto.
Tutore o ingessatura?
A conferma che il supporto indossato da Paola Cappa fosse un tutore rimovibile – e non un’ingessatura come pure da taluni sostenuto – riportiamo lo stralcio del verbale di una dichiarazione rilasciata dalla madre delle gemelle, pubblicato su Facebook dalla direttrice del settimanale Giallo: “Mia figlia Paola è stata all’ospedale dal 13.7.2007 al 19.7.2007, poi dal lunedì successivo per tre giorni e infine l’ultima volta dal 28 o 29.7.2007 fino al 5.8.2007. Quando è uscita, Paola camminava con il supporto di un tutore ed aiutandosi con il girello o la carrozzina. Non poteva appoggiare il piede. Il tutore lo abbiamo ancora in casa nostra, Paola non lo porta più dalla fine di settembre. Prima lo portava sempre anche a letto. Il tutore arriva fino alla caviglia.”
L’indagine, in Procura, sui mass media e sui social network, continua.