L’Aquila. L’edilizia residenziale pubblica non basta a dare risposte a chi vive situazioni di disagio abitativo e risulta sufficiente per 700mila famiglie, appena 1/3 di chi ne ha veramente bisogno. È questo il quadro che emerge dalla ricerca che Federcasa ha commissionato a Nomisma, in merito alle caratteristiche del disagio abitativo in Italia. Un tema che si conferma tra i più importanti da affrontare, anche in considerazione del fatto che per oltre 1,7 milioni di famiglie che hanno un contratto di affitto (il 41,8% del totale), il canone supera il 30% del reddito familiare, correndo quindi il rischio di scivolare verso forme di morosità e di possibile marginalizzazione sociale. Si tratta perlopiù di cittadini italiani (circa il 65%), distribuiti sul territorio nazionale in maniera piuttosto omogenea. Un bacino sul quale occorre intervenire al più presto, come confermano anche i dati relativi ai nuclei che occupano le graduatorie per le case popolari. Tra questi, il 57% paga un canone di locazione superiore a 450 euro al mese, trovandosi quindi in difficoltà nell’adempiere al pagamento. Il 49,8% di chi occupa la graduatoria vive un disagio economico per basso reddito e/o canone oneroso, mentre il 12,2% è in disagio legato alle condizioni abitative (sovraffollamento, abitazione con barriere architettoniche, o antigenica). La maggior parte di coloro che fanno richiesta per ottenere una casa popolare è di cittadinanza italiana (54,4%), mentre il restante 45,6% è straniero (8,2% appartenente alla UE, 37,3% extracomunitario). In questo contesto, secondo i dati raccolti da Nomisma, su 758mila alloggi, sono circa 652mila quelli assegnati regolarmente, ovvero l’86% del totale. Il restante 14% risulta non assegnato perché sfitto, occupato abusivamente o in attesa di assegnazione. Attraverso l’indagine si nota anche che tra gli aventi diritto l’età della persona di riferimento del nucleo familiare è tendenzialmente alta (il 28,3% supera i 75 anni, il 19,6% è compreso tra 65 e 75 anni) e ha un reddito molto basso (il 44,4% guadagna in un anno meno di 10.000 euro). I tempi di permanenza negli alloggi di Erp sono, comunque, abbastanza alti: il 49% ci vive da oltre 20 anni, il 28% da oltre 30 anni. Da un confronto tra gli utenti Erp e la tipologia di domande accolte in graduatoria, si evidenzia una domanda inevasa più sbilanciata verso i nuclei stranieri (37,3%), quelli pluri-componente (34,5% con riferimento alle famiglie composte da 3-4 persone), ed i nuclei con persona di riferimento di età compresa tra i 35 e 45 anni (31,6%). A fronte della vastità del problema, le risposte pubbliche sono state fino qui complessivamente inadeguate. “Siamo di fronte ad un disagio abitativo di tali dimensioni, che per tornare alla situazione degli anni ’90 ci vorranno tempi molto lunghi, sperando che non vi siano ulteriori crisi economiche. – commenta Luca Talluri, presidente di Federcasa – Da questi dati emerge la necessità di incrementare in modo significativo il numero degli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Se negli anni ‘90 il sistema fu cristallizzato perché ritenuto sufficiente a gestire il disagio presente, oggi dobbiamo fare scelte politiche della stessa importanza, ma che prevedano un aumento significativo di case popolari”. “Una risposta al tema del disagio abitativo dovrebbe rappresentare un obiettivo ineludibile di un’azione di governo effettivamente riformatrice”. – afferma Luca Dondi, Direttore Generale di Nomisma – “A ciò si aggiunga che, a conti fatti, le ricadute in termini di attivazione economica di un ipotetico piano casa potrebbero rivelarsi meno deboli e labili di quelle destinate a scaturire dagli sgravi fiscali sull’abitazione principale, di cui beneficeranno i proprietari a partire dall’anno prossimo. Ma se l’eventuale gap in fatto di crescita può essere tema di discussione, la differenza in termini di equità delle due opzioni è di tutta evidenza”.