Roma. Si torna a parlare della cosiddetta “pista familiare” relativamente alla scomparsa di Emanuela Orlandi avvenuta il 22 giugno 1983. Due settimane fa, molto risalto ha avuto sui giornali la notizia che, nel 1978, uno zio della giovane, Mario Meneguzzi, avrebbe posto in essere delle “avances” nei confronti della sorella maggiore di Emanuela, Natalina, senza che peraltro ciò avesse alcun seguito. Il TgLa7 aveva riferito il fatto e dato conto di uno scambio di messaggi, per via diplomatica, tra l’allora segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli e il padre spirituale della famiglia Orlandi, monsignor José Luis Serna Alzate. Il primo, su sollecitazione degli inquirenti di Roma, avrebbe chiesto al secondo, tramite corrispondenza diplomatica, di confermare la circostanza delle molestie. Conferma giunta tempestivamente, sempre per via diplomatica: monsignor Serra Alzate, dalla Colombia dove era stato inviato da Giovanni Paolo II, aveva riferito: “Sì, è vero, Natalina è stata oggetto di attenzioni morbose da parte dello zio, me lo confidò terrorizzata: le era stato intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati dove Meneguzzi, che gestiva il bar, la aveva fatta assumere qualche tempo prima.” Così i giornali di quindici giorni fa.
Immaginabile il clamore mediatico riservato a tutto ciò e al correlato scenario di un possibile coinvolgimento di Meneguzzi nella scomparsa della nipote Emanuela. Tanto da rendere necessarie risposte e precisazioni da parte degli Orlandi, in una conferenza stampa tenutasi l’11 luglio scorso, alla presenza dell’avvocato Laura Sgrò che assiste la famiglia.
“Non vi fu nessuno stupro”, ha dichiarato appunto Natalina, “è un episodio che risale al 1978, lavoravamo assieme. Fece avances verbali, piccoli regali ma quando capì che non avrebbe ottenuto niente lasciò subito perdere. Ne parlai con il mio fidanzato e non con mio padre. Tutto si risolse lì.”
E, a sostegno di quanto emerso circa l’alibi dello zio Mario a ridosso della scomparsa, sul Corriere della Sera, è stata pubblicata l’intervista a un poliziotto in pensione che, all’epoca, era stato impegnato nelle indagini sul caso. Secondo lui, la posizione dello zio era stata attentamente valutata in sede investigativa e il soggetto sarebbe risultato completamente estraneo ai fatti.
Dunque, una pista che sembrerebbe non avere nulla da rivelare. Sennonché permaneva un interrogativo: chi aveva riferito agli inquirenti delle avances “verbali” ricevute da Natalina Orlandi nel 1978 dallo zio Mario, tanto da indurli a chiedere a Casaroli di accertarsene con la massima discrezione possibile? In un articolo per BlitzQuotidiano, il giornalista Pino Nicotri rivela che, da alcuni, giorni, circola un documento di cui trascrive il contenuto, che qui riportiamo:
“LEGIONE CARABINIERI DI ROMA REPARTO OPERATIVO -3a Sezione- N. 0159977/2-20 “P” di prot. Roma, li 30.8.1983.- RAPPORTO GIUDIZIARIO: – circa gli ulteriori accertamenti svolti in relazione alla scomparsa di Emanuela ORLANDI. – ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI (Sost.Proc. Dott.D. Sica) ROMA. Seguito rapporti giudiziari pari numero ed oggetto di questo Reparto. Si trasmette una relazione di servizio inerente dichiarazioni confidenziali rilasciate da Andrea FERRARIS, fidanzato della signorina Natalina ORLANDI, sorella maggiore di Emanuela, ad ufficiale di questo Reparto, circa un episodio avvenuto cinque anni orsono tra la Natalina stessa e lo zio Mario Meneguzzi”
Se il documento fosse genuino – e, ovviamente, lo stesso Nicotri non ne è certo e anzi parla della possibilità che si tratti di una “polpetta avvelenata” – se ne potrebbe forse evincere che sia stato il fidanzato di Natalina Orlandi, oggi marito, a rivelare al sostituto procuratore Domenico Sica i fatti del 1978. E sarebbe, questo, un dato veramente significativo?
“Se autentico […]”, considera il giornalista, “manderebbe drammaticamente in frantumi la versione riduzionista che Natalina Orlandi nella conferenza stampa dell’11 luglio ha dato delle avances di suo zio Mario Meneguzzi […].” E, nel caso, continua Nicotri, “non potrebbe essere vero quanto sostiene a spada tratta Pietro Orlandi, e cioè che i magistrati sospettavano di suo zio, al punto da farlo pedinare, solo perché temevano che potesse consegnare di persona ai ‘rapitori’ di sua nipote Emanuela i soldi dell’eventuale riscatto o che potesse essere avvicinato da loro per dirgli le condizioni per il suo rilascio.”
Mario Meneguzzi si era accorto di essere pedinato e si era rivolto all’amico Giulio Gangi, giovane poliziotto appena entrato nei ranghi del Sisde e innamorato non corrisposto di Monica Meneguzzi, figlia di Mario. Gangi gli aveva confermato la circostanza “mandando così all’aria”, conclude il giornalista, “il lavoro dei magistrati e la possibilità di ulteriori controlli sullo zio Mario Maneguzzi.”
Al di là di valutazioni e scenari, la vicenda si dipana da quarant’anni in tante differenti direzioni, non di rado in contraddizione tra loro. D’obbligo, dunque, la prudenza.
Per quanto riguarda Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, ha così commentato con MowMag il riemergere dell’atto: “L’ho letto quarant’anni fa quel documento, e l’abbiamo ripetuto anche durante la conferenza stampa che Andrea e Natalina sono stati convocati da Sica nell’agosto del 1983. La cosa assurda è che continuano a sparlare di questo fatto come se avesse un legame con Emanuela. Ma non si vergognano?”