Roma. “Sul prelevamento di Emanuela Orlandi un’ipotesi che si potrebbe non escludere è che sia sparita proprio nel complesso di Sant’Apollinare, una ipotesi quasi mai formulata e che invece andava un po’ più approfondita proprio per la presenza di De Pedis e don Pietro Vergari.” È quanto dichiarato dall’ex Pm Giancarlo Capaldo nel corso della seconda parte dell’audizione dinanzi alla Commissione bicamerale di inchiesta impegnata ad indagare sulla scomparsa di Mirella Gregori (7 maggio 1983) e di Emanuela Orlandi (22 giugno 1983). Le sue parole sono riportate da Leggo e dal Giornale.
Il boss
A supporto dell’ipotesi esposta – che vede coinvolto nel rapimento Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della Banda della Magliana, ma a titolo “personale”, senza appunto la collaborazione e il supporto dei suoi sodali – Capaldo ha considerato che “il prelevamento della Orlandi poteva essere fatto per strada ma sarebbe stato pericoloso, poteva invece essere fatto in Sant’Apollinare con una scusa qualsiasi. Il momento della scomparsa della Orlandi nessuno c’è l’ha dato, anche le dichiarazioni delle ragazze amiche non sono sicure, come sarebbe stata rapita? Violentemente? O se Renatino De Pedis era amico di don Vergari non poteva creare una situazione per cui determinare la sparizione dall’interno?”
L’amante
Una delle possibili ipotesi, certo. A supporto della quale potrebbero porsi, secondo Capaldo, le dichiarazioni rilasciate da una delle ex amanti di De Pedis, Sabrina Minardi, cui però in passato gli inquirenti non hanno invero riservato eccessivo credito. Tali dichiarazioni hanno contribuito in modo significativo all’apertura della seconda inchiesta sulla scomparsa di Emanuela, tra il 2008 e il 2015. Si è cercato allora di verificare la possibilità che la Banda della Magliana fosse coinvolta nella vicenda. In accoglimento dell’istanza di archiviazione del procedimento, formulata dal Pm Simona Maisto, nell’ottobre 2015 il Gip Giovanni Giorgianni ha scritto a proposito dell’apporto alle indagini fornito dall’ex amante di Renatino: “Emergono dunque in tutta evidenza le contraddizioni e le inverosimiglianze che hanno caratterizzato le dichiarazioni della Minardi.”
“Un esito prevedibile, ma soprattutto un esito logico” considera il giornalista di inchiesta Tommaso Nelli in un articolo su Spazio70. “Perché l’intera parabola di Sabrina Minardi nel caso Orlandi è percorsa da una costante assenza di riscontri. Una mancanza che impedisce di attribuire attendibilità alle sue parole e di farne un testimone-chiave per arrivare alla verità.”
“Credo che la Minardi sia stata trattata male come testimone”, ha però concluso Capaldo dianzi alla Commissione.
L’ex rettore
Nelle sue dichiarazioni, l’ex Pm cita, lo abbiamo visto, anche don Pietro Vergari che, come ricorda il Fatto quotidiano, è l’ex rettore della Basilica di Sant’Apollinare, adiacente alla scuola di musica Ludovico da Victoria, frequentata dalla Orlandi.
Don Vergari non ha mai nascosto la sua amicizia con De Pedis, che era stato peraltro sepolto proprio nella cripta della chiesa. Quando è emersa la notizia della singolare collocazione della salma del boss, è stato lo stesso Capaldo a ordinare l’apertura della tomba, nella quale inizialmente qualcuno temeva fossero conservati anche i resti mortali di Emanuela Orlandi.
Una richiesta di collaborazione
“C’è stata una richiesta di collaborazione formulata da loro [dal Vaticano] a cui io ho risposto positivamente chiedendo a mia volta una collaborazione fattiva, non era un’idea del capo della Gendarmeria, era un’idea della segreteria di Stato che voleva l’eliminazione di Renatino De Pedis dalla tomba”, ha ricordato l’ex Pm. “Io ho detto loro che saremmo stati disposti come Procura di Roma se loro fossero stati disposti a collaborare per capire cosa fosse successo ad Orlandi.”
La richiesta sarebbe giunta, secondo quanto riportato da Fanpage, dall’allora comandante della Gendarmeria, Domenico Giani e dal suo vice Costanzo Alessandrini. “Eravamo all’inizio del 2021”, ha riferito Capaldo, “Giani si è presentato con Alessandrini in Procura: mi hanno detto che non erano venuti spontaneamente, ma incaricati da padre Georg che voleva segnalare alcune preoccupazioni del Vaticano che veniva presentato dalla stampa come ente poco collaborativo nella ricerca della quindicenne. In particolare Giani mi chiese, come se stesse facendo da tramite a padre Georg, di aprire la tomba di De Pedis perché il Vaticano riteneva importante che fosse aperta dalla Procura di Roma.”
Ancora: “Coloro che volevano aprire la tomba, volevano controllare se con la bara di De Pedis fosse sepolta anche la salma di Orlandi. Io segnalai che la ritenevo un’ipotesi assolutamente inverosimile visto che Orlandi era sparita nel giugno del 1983 e De Pedis è stato ucciso nel febbraio del 1990.”
La Santa Sede, secondo l’ex magistrato, “non voleva prendersi la responsabilità di adottare un provvedimento di traslazione della tomba, ma per me era necessario che questo provvedimento segnasse, almeno, l’inizio di una collaborazione. Giani mi rispose che ne avrebbe parlato con monsignor Georg. E alcuni giorni dopo mi ha fatto sapere che era d’accordo nel procedere così, ma poi non ho avuto più notizie. E nel frattempo è stato nominato il nuovo procuratore Pignatone.”
Ricatto?
“Sono convinto che non siamo di fronte a un ricatto internazionale”, ha quindi concluso Capaldo. “Credo però che il sequestro avesse una funzione di ricatto, ma penso vada escluso con fermezza quello internazionale per tanti motivi ivi compreso il fatto che il soggetto usato, una ragazzina, per un ricatto internazionale era del tutto incongruo.”
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