Roma. Marcello Neroni, vicino alla Banda della Magliana, balzato recentemente agli onori della cronaca per le sue dichiarazioni (diffuse lo scorso dicembre ma registrate nel corso di un colloquio del 2009 con il giornalista d’inchiesta Alessandro Ambrosini) nelle quali, in relazione alla scomparsa di Emanuela Orlandi, menzionava presunte “abitudini” di Papa Wojtyla, sarebbe stato ascoltato dal promotore di giustizia d’Oltretevere Alessandro Diddi, titolare dell’indagine sulla scomparsa della cittadina vaticana.
Lo riportano il Quotidiano Nazionale e Fanpage. Questo il preteso scenario correlato a quello che nei mesi scorsi i giornali hanno definito “audio shock”: Emanuela Orlandi sarebbe stata rapita per coprire asseriti scandali sessuali riferibili alle gerarchie vaticane e, allo scopo, sarebbe stato chiesto l’intervento di Enrico De Pedis detto “Renatino”, boss della Banda Magliana.
In un’intervista a Nina Fabrizio per QN, Otello Lupacchini, ex magistrato noto, tra l’altro, per aver gestito l’Operazione Colosseo che ha condotto proprio allo smantellamento dell’organizzazione criminale romana, riserva accenti critici alle dichiarazioni di Neroni e, in generale, alla sua credibilità: “In maniera molto chiara io avevo scritto nella ordinanza di rinvio a giudizio che era un ‘souffleur’, una spia che giocava su più tavoli vicino a certi personaggi eminenti della polizia e dei servizi di cui si faceva scudo anche nel processo. Una indagine che voglia essere seria e puntuale dovrebbe stabilire ora per allora perché in quel momento, con quell’incontro e con quelle modalità, Neroni fa quelle dichiarazioni.”
L’ex magistrato rimarca inoltre che, all’epoca delle indagini che – anche grazie all’apporto di pentiti – hanno ricostruito le vicende interne della banda, nessuno avrebbe mai fatto riferimento al caso della cittadina vaticana: nel corso dell’inchiesta, “uscì fuori tutta una serie di dichiarazioni su Pecorelli, o Andreotti o Vitalone, o sui movimenti eversivi, ma nessuno ha mai adombrato alla vicenda di Emanuela Orlandi.”
“Abbatino nel delineare le ragioni dello scontro insanabile tra l’ala ortodossa e quella testaccina [della Banda, ndr]”, prosegue l’ex magistrato, “indica due fatti, l’attentato a Rosone [Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano, vittima di un tentato omicidio il 27 aprile 1982, ndr] e l’omicidio Balducci [Domenico “Memmo” Balducci, esponente della Banda della Magliana, ucciso a Roma il 16 ottobre 1981, ndr] dicendo che in questo modo i testaccini avevano operato per conto di Cosa nostra rompendo le regole che nascevano dal patto di collaborazione del cartello. Ma nessuno ha accennato alla vicenda di Emanuela Orlandi come motivo di conflitto, se così fosse stato, la partecipazione sarebbe stata una vicenda dirompente al pari dell’attentato a Rosone.”
Lupacchini esclude, in proposito, anche la credibilità di Sabrina Minardi, l’ex compagna di De Pedis: “la stessa Minardi racconta una vicenda che solo chi crede nell’esoterismo può prendere per buona quando dice di essere stata informata da De Pedis che le avrebbe fatto vedere due sacchi di immondizia con in uno Emanuela Orlandi e nell’altro il piccolo Domenico Nicitra. Peccato che la Orlandi scompare nell’83 e Nicitra nel 1993, mentre De Pedis era deceduto nel 1990.”
Più che l’indagine vaticana, per Lupacchini è dalla Commissione parlamentare d’inchiesta che potrebbero veramente emergere nuovi elementi sulla vicenda. “Di fronte a una Commissione parlamentare di inchiesta, molti interrogativi che non è possibile sciogliere in chiave giudiziaria potrebbero essere risolti, il giudice è uno storico dalle mani legate, e il fatto che la commissione abbia gli stessi strumenti non può portare ad equipararla all’autorità giudiziaria. […] La commissione di inchiesta non può condizionare in negativo l’accertamento giudiziale, a meno che questo non abbia già una tesi preconfezionata.”