Roma. La Procura ha acquisito degli atti, messi a disposizione del Vaticano, nell’ambito del procedimento già aperto a piazzale Clodio, relativo alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Tale procedimento è stato avviato in seguito a una richiesta di informazioni, da parte del Csm, in merito a un esposto presentato al Consiglio dai familiari della quindicenne scomparsa a Roma il 22 giugno 1983.
“È una cosa positiva che la Procura di Roma abbia acquisito atti dal Vaticano perché per la prima volta ci sarà una collaborazione, sempre negata in passato, tra Santa Sede e magistratura ordinaria”, commenta Pietro Orlandi, in fratello di Emanuela.
“Il nostro augurio è che ci sia una cooperazione leale [tra la Procura di Roma e il Vaticano] alla ricerca della verità. È una bella notizia, è quello che noi chiediamo da anni per avere la verità su Emanuela”, aggiunge Laura Sgrò, legale di Pietro Orlandi, in una dichiarazione all’Ansa. E precisa di avere appreso la notizia dai media e che, in questa fase delle indagini, la famiglia Orlandi non è stata ancora coinvolta.
Gli inquirenti vaticani hanno, dunque, inviato a piazzale Clodio dei documenti che, a quanto si legge su Open, potrebbero forse dare un nuovo impulso all’inchiesta. Non è improbabile che si tratti di materiale relativo cittadini italiani, afferente ad accertamenti rientranti quindi nella competenza territoriale dei magistrati romani.
Nulla trapela circa il contenuto di tale materiale e non si sa ancora se la Procura abbia aperto un fascicolo conoscitivo o se vi siano già degli indagati. Nel corso di un’intervista rilasciata più di un mese fa, il promotore di giustizia di Oltretevere, Alessandro Diddi, ha tra l’altro affermato che, tra le carte relative al caso vi sono “cose anche inedite che spero che un giorno si possano svelare.” Aggiungendo di essere rimasto “sorpreso” di alcune di esse: “Pensavo che fossero chiarite invece non lo sono state.”
Lo scorso 21 aprile, il procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, parlando con gli alunni della scuola Don Bosco di Palermo, ha detto: “Dopo 40 anni non solo non è facile trovare elementi, ma nemmeno fare le pulci alle attività svolte dagli inquirenti dell’epoca perché ogni situazione, ogni indagine va contestualizzata. Non è da escludere che sarà coinvolta nuovamente la procura di Roma, motivo per cui non posso parlarne.” Il riferimento al “fare le pulci” sembrerebbe riferirsi – riflette Open – ad indagini effettuate fin dal giorno della scomparsa di Emanuela. Molti magistrati si sono avvicendati nelle inchieste sulla vicenda. La prima è stata la pm Margherita Gerunda, impegnata a seguire piste “tradizionali”. Dopo l’appello di Papa Wojtyla dal balcone di San Pietro, si è delineato lo scenario del “terrorismo internazionale” e le indagini sono state assegnate a Domenico Sica e poi a Ilario Martella. Entrambi si sono focalizzati sulla tesi del rapimento posto in essere allo scopo di ricattare il Vaticano. Sono poi entrati in scena il sostituto procuratore generale Giovanni Malerba e la giudice istruttrice Adele Rando. Solo alla fine degli anni Novanta si è deciso per l’archiviazione del caso: entrambi i magistrati hanno spiegato che la tesi del rapimento sembrava palesare i tratti del depistaggio e si rivelava idonea a consentire l’intromissione, nell’indagine, di mitomani e disagiati mentali.
Al di là delle tesi prospettatesi nei decenni, restano i fatti, i pochi davvero noti. Emanuela è scomparsa mercoledì 22 giugno 1983, dopo le ore 19, a corso Rinascimento, che passa davanti al Senato della Repubblica e collega piazza delle Cinque Lune con Sant’Andrea della Valle. Poco distante, piazza Navona. Zone frequentatissime, allora come oggi. Risulta per lo meno improbabile che una persona venga rapita con la forza in un simile contesto, senza richiamare l’attenzione di nessun testimone. La famiglia ha sempre descritto la quindicenne come diffidente e poco propensa ad accettare passaggi persino da persone a lei conosciute. Che al momento della scomparsa, abbia incontrato – come da taluni ipotizzato – qualcuno di cui si fidava?