Roma. Una nuova pista sembrerebbe riemergere dal passato, nella lunga, tormentata indagine per la scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta a Roma il 22 giugno 1983. È quanto riferisce un servizio del TgLa7. Si tratta davvero di uno scoop?
Lettere per via diplomatica
Settembre 1983: Emanuela è scomparsa da tre mesi, le indagini seguono varie possibili piste. L’allora segretario di stato vaticano, il cardinale Agostino Casaroli, invia per posta diplomatica una lettera a un sacerdote sudamericano destinato in Colombia da Papa Wojtyla. Il sacerdote era stato a lungo consigliere spirituale e confessore della famiglia Orlandi. E Casaroli gli chiede, senza mezzi termini, se è vero che, in passato, Natalina, la sorella maggiore di Emanuela, gli abbia rivelato di essere stata molestata sessualmente dallo zio Mario Meneguzzi, marito di Lucia Orlandi, zia paterna dei cinque fratelli Orlandi.
Per maggiore chiarezza, ricordiamo che i figli di Ercole Orlandi e Maria Pezzano sono Natalina, Pietro, Federica, Emanuela e Maria Cristina. La sorella di Ercole, con cui Mario Meneguzzi era sposato, si chiamava Lucia. I loro figli erano Monica e Pietro.
Nella sua lettera, Casaroli spiega che la richiesta di confermare la circostanza delle molestie gli è giunta da ambienti investigativi romani. La risposta dalla Colombia non tarda ad arrivare, sempre per via diplomatica: “Sì, è vero, Natalina è stata oggetto di attenzioni morbose da parte dello zio, me lo confidò terrorizzata: le era stato intimato di tacere oppure avrebbe perso il lavoro alla Camera dei Deputati dove Meneguzzi, che gestiva il bar, la aveva fatta assumere qualche tempo prima.” Natalina Orlandi era in effetti impiegata nell’ufficio legale della Camera da prima del 1983.
Certo, precisa il TgLa7, il recupero delle due lettere non costituisce un atto di accusa verso lo zio di Emanuela, ormai scomparso. Ma ripropone uno scenario rimasto in ombra. A ridosso della scomparsa di Emanuela, prima del delinearsi della pista dell’intrigo internazionale, il sostituto procuratore Margherita Gerunda stava percorrendo l’ipotesi della violenza sessuale e dell’omicidio. Poi, l’inchiesta è stata affidata al collega Domenico Sica.
Il TgLa7 rivela anche che “Natalina le insidie subite dallo zio le mise anche a verbale nell’interrogatorio – mai emerso dagli atti – reso a un magistrato di Roma.” “Ma è chiaro”, prosegue il servizio, “che questi elementi nuovi, seppur eclatanti, da soli non possono costituire un atto di accusa nei confronti di una persona, Mario Meneguzzi, che tra l’altro non c’è più. Portano però il promotore di giustizia vaticano Diddi con i suoi gendarmi, e il procuratore capo di Roma Lo Voi con i suoi carabinieri, ad analizzare a fondo la pista familiare.”
Identikit
Secondo il La7, i due magistrati sarebbero rimasti colpiti del raffronto tra il volto di Mario Meneguzzi e l’identikit ricavato dalla descrizione che il vigile Sambuco e il poliziotto Bosco hanno fornito di un uomo da loro avvistato il pomeriggio della scomparsa di Emanuela. Un uomo che stava parlando proprio con la ragazza, poco prima delle 17, all’ingresso della scuola di musica Ludovico Da Victoria, in corso Rinascimento, che lei frequentava. Secondo la testimonianza della sorella Federica, Emanuela la chiamò per riferirle della proposta che avrebbe ricevuto da qualcuno, di andare a distribuire volantini durante una sfilata di moda. È la cosiddetta “pista Avon”.
Margherita Gerunda in seguito avrebbe dichiarato: “Non credo […] che quel giorno Emanuela Orlandi sia andata alla scuola di musica passando per corso del Rinascimento, dove si usa credere che sia stata vista da un vigile e da un poliziotto. Ho maturato la convinzione che i testimoni si siano prestati a dire o a confermare cose che permettevano loro di andare sui giornali, dare interviste, insomma avere il loro piccolo momento di fama se non di gloria.”
E il Sisde?
Gli odierni inquirenti avrebbero comunque recuperato la documentazione della prima inchiesta, le dichiarazioni di Natalina Orlandi, quelle dei testimoni. Tra gli elementi riemersi: le telefonate a casa Orlandi dei presunti rapitori, alle quali è stato proprio lo zio Mario, a rispondere; l’intervento del Sisde nella vicenda; il presunto, stretto legame con alcuni esponenti del Servizio dello stesso Meneguzzi. Costui, un giorno, sarebbe stato informato di essere pedinato dagli uomini della Squadra Mobile mentre era diretto verso il litorale romano di Santa Marinella. “Perché lo pedinavano?”, si chiede il TgLa7, “sulla base di quale ipotesi istruttoria?” Ad informalo, comunque, sarebbe stato l’allora giovane agente del Sisde Giulio Gangi. Aveva conosciuto la figlia di Meneguzzi, Monica, prima della scomparsa di Emanuela e se ne era innamorato. Dopo il 22 giugno 1983, si era presentato alla famiglia Orlandi offrendo il suo contributo alle indagini.
E, sempre a proposito del Sisde, il telegiornale de La7 ricorda che, dopo la scomparsa, è stato proprio Meneguzzi a consigliare al cognato Ercole Orlandi di scegliere come legale l’avvocato Gennaro Egidio, la cui ingente parcella sarebbe stata saldata proprio dal Servizio. Molti, insomma, sarebbero gli interrogativi che lo scambio di lettere per via diplomatica di quarant’anni fa ha riproposto.
La testimonianza di Meneguzzi
Il 31 ottobre 1985, si legge nel volume Emanuela Orlandi. Il rapimento che non c’è di Pino Nicotri, Meneguzzi si è presentato dinanzi al giudice istruttore Ilario Martella per riferire che, il giorno della scomparsa di Emanuela, il 22 giugno 1983, lui non era a Roma ma a Torano. E vi si trovava dal pomeriggio del giorno prima, insieme alla figlia Monica, alla cognata Anna Orlandi – seconda sorella di Ercole – ed allo stesso Ercole. Quest’ultimo, però, avrebbe dichiarato che, il 22 giugno, lui e la moglie Maria erano tornati a Roma nel tardo pomeriggio, dopo essere stati a far visita a dei parenti a Fiumicino.
“Hanno deciso di scaricare tutto sulla famiglia”
Le notizie diffuse dal telegiornale de La7 non hanno mancato di suscitare immediate reazioni. Questo il commento di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, sul gruppo Facebook “Petizione Emanuela” – riportato su Open: “Oggi ho capito che sono delle carogne. Hanno deciso di scaricare tutto sulla famiglia, senza vergogna, mi fanno schifo.” All’AdnKronos dice di essere “furioso” perché “vogliono scaricare le responsabilità sulla famiglia.” Aggiunge che la Procura di Roma non ha chiamato mai né lui né sua sorella Natalina. Ed esprime l’auspicio che la commissione d’inchiesta “parta e svergogni chi ci infanga”. “Chiederò un incontro a Papa Francesco”, prosegue. “Hanno passato il limite come non mai. Con l’avvocato Sgrò sto organizzando per domani una conferenza stampa. Non possono scaricare le responsabilità di tutto su una famiglia… Non pensano ai parenti, ai figli? No, questa carognata non può passare così.”
La conferenza stampa
La situazione ha richiesto, dunque, precisazioni e commenti. E Pietro e Natalina, insieme all’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia, hanno convocato una conferenza stampa, tenutasi oggi pomeriggio a Roma, presso la sede dell’Associazione della Stampa Estera. Queste alcune delle dichiarazioni rilasciate, riportate da SkyTg24.
“Quello che è successo ieri meritava un approfondimento. Siamo stati travolti da questa notizia, ieri si è fatta macelleria della vita delle persone. Dal tg de La7 abbiamo appreso che è tornata in auge una pista, vengono raccontati fatti molto privati, la vita di Natalina Orlandi è stata messa in piazza e macellata. Ho ritenuto che fosse Natalina a raccontare quello che è successo, ieri le vicende personali della famiglia Orlandi sono state macelleria”, ha dichiarato l’avvocato Sgrò.
Riferendosi alle presunte “attenzioni” rivoltele dallo zio, Natalina Orlandi ha spiegato che “non esiste stupro, è un fatto che risale al 1978, mio zio mi fece solo semplici avances verbali, un regalino, poi quando ha visto che non c’era nessuna possibilità è finito tutto lì. Non c’è stato altro. Al momento fui scossa. Non dissi nulla a mio padre, solo al mio fidanzato Andrea poi diventato mio marito. E ne parlai in confessione col nostro padre spirituale. E ora questa cosa insignificante è stata venduta come chissà quale scoop. Questo fu il rapporto con mio zio. E infatti le nostre famiglie sono unite. Io questa cosa la tenni per me. Poi nell’83 mi hanno chiamato e subii un interrogatorio. Erano cose che sapevano tutti, magistrati inquirenti e investigatori. È finita lì e non portò a nulla”, ha aggiunto.
“Dopo le avances verbali che mi fece, mio zio è tornato sui suoi passi ed è finita lì. Noi escludiamo che nostro zio abbia fatto avances anche a Emanuela”, ha proseguito Natalina. Ed ha, infine, raccontato: “Nel 2017 vengo contattata da Becciu [sostituto della Segreteria di Stato]. Mi dice che mio fratello insisteva per avere documentazione [sulla scomparsa di Emanuela] ma che aveva dei documenti del 1978 che mi riguardavano. E ha detto: se diamo la documentazione, dobbiamo divulgare anche questa storia. Mi è sembrata una forma ricattatoria. Ho detto che io non avevo problemi.”
“Qualcuno all’interno del Vaticano sta facendo di tutto per spostare l’attenzione all’esterno, per scaricare qualunque responsabilità su altri, addirittura sulla famiglia”, ha dichiarato Pietro Orlandi. “Diddi sta lavorando per arrivare a una verità di comodo, non alla verità.” “Faccio appello ai senatori, sono convinto che la commissione parlamentare possa portare alla verità e infatti il Vaticano la teme e non la vuole. Mi auguro che passi la votazione. Ieri il Vaticano ha calpestato le ultime briciole di dignità. Io sono convinto che Papa Francesco con l’apertura dell’inchiesta volesse fare passi avanti ma qualcuno sta facendo di tutto per spostare l’attenzione fuori dal Vaticano”, ha aggiunto. Il giorno in cui è scomparsa Emanuela “mio zio era lontano da Roma, con i figli nel paese dove vanno in vacanza”, ha proseguito.
“Quando ho visto ieri Mentana con occhi gioiosi raccontare questa cosa ho pensato per prima cosa ‘che carognata’, perché ho visto il modo di scaricare sulla famiglia qualunque responsabilità che eventualmente ci fosse in Vaticano. Su cosa si sono basati? Sulla lettera di un sacerdote che riportava quanto saputo durante il sacramento della confessione?”, ha aggiunto ancora Pietro. “Aver visto ieri sera associare il viso di mio zio Mario all’identikit, mi ha dato molto fastidio, è stata una cosa molto grave, è una carognata. Mai avrei pensato che potessero scendere così in basso, eppure sono scesi così in basso.”
“Mi aspetto dichiarazioni da parte della Procura di Roma, diversamente significherebbe dire che il Vaticano sta cercando di scaricare ogni responsabilità su altri, addirittura sulla stessa famiglia Orlandi”, sono sempre le parole del fratello di Emanuela. “Vorrei incontrare Papa Francesco in privato e dirgli delle carogne che gli girano intorno. Sono convinto che se la commissione d’inchiesta parlamentare parte la verità esce fuori. Per il Vaticano è sempre stato facile gestire la Procura di Roma, molto più difficile è gestire una commissione parlamentare composta da 40 persone per questo non la vogliono. Ho fiducia in questo Parlamento e in questo governo, che ha volontà di fare chiarezza su tutto.”