Roma. Se ne era parlato alla fine di gennaio di quest’anno. Presso l’Archivio centrale dello Stato era stata rinvenuta della documentazione relativa alla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta a Roma il 22 giugno 1983. Un fascicolo, la cui copertina recava l’intestazione “Ministero dell’Interno – Direzione generale della pubblica sicurezza – Ucigos”, la sigla “B 369 – Roma – Sott. 8” e la dicitura: “Scomparsa Emanuela Orlandi”. Acclusi tre fogli, con l’indicazione degli atti originariamente contenuti nell’incartamento, ma che risultavano mancanti.
Si prospetta ora l’ipotesi che il contenuto dell’incartamento potrebbe non essere stato inviato all’Archivio centrale e sia ancora conservato proprio negli uffici della Direzione centrale di Polizia di Prevenzione – ex Ucigos – del Ministero dell’Interno.
Lo afferma, a quanto riporta il Fatto quotidiano, il senatore Andrea De Priamo, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta che indaga sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori (7 maggio 1983). E aggiunge: “Le indicazioni ricevute dalla dottoressa Simona Greco, responsabile delle Raccolte Speciali dell’Archivio Centrale dello Stato, sono state preziose per circoscrivere la ricerca dei documenti elencati nei fascicoli vuoti sul caso Orlandi che abbiamo ritrovato proprio presso l’Acs a gennaio scorso.”
La dottoressa Greco aveva dichiarato che “Con la direttiva Renzi c’è stata una interpretazione restrittiva da parte di alcuni enti che hanno riversato solo i titoli, mentre più correttamente le agenzie di sicurezza hanno dato una interpretazione estensiva della Direttiva, cioè hanno riversato l’intera serie archivistica che conteneva quella documentazione restituendo così l’intero contesto di quel fascicolo.”
La fuga dell’Amerikano
Con riferimento alle attività della Commissione di inchiesta, particolare risalto è stato riservato alla recente audizione – secretata – di Nicola Cavaliere, nel 1983 a capo della sezione Omicidi della Squadra Mobile di Roma e, dopo vari incarichi, nominato nel 2008 vicedirettore operativo dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna (AISI).
All’epoca dei fatti, Cavaliere era stato tra i primi ad ascoltare la registrazione divenuta nota come “audio delle sevizie” – che riproduceva i lamenti prolungati di una giovane donna, forse sottoposta a tortura, secondo taluni riconducibili proprio alla quindicenne scomparsa – e si era dedicato a indagare sul caso anche negli anni successivi. Nonostante la secretazione, sembra che siano trapelate alcune dichiarazioni rilasciate nel corso dell’audizione.
A quanto riporta il Corriere della Sera, Cavaliere avrebbe fatto riferimento al cosiddetto “Amerikano”, uno sconosciuto che, a ridosso della scomparsa di Emanuela, aveva telefonato in Vaticano per trattare con l’allora Segretario di Stato, cardinale Agostino Casaroli, il rilascio della quindicenne. “Lo abbiamo visto”, avrebbe affermato il funzionario in Commissione, “indossava impermeabile e borsalino in testa. Ci è sfuggito per così poco.”
Nella circostanza, grazie al Digisistem, un sistema di ascolto multiplo impiegato per monitorare “tutti i telefoni della Sip ubicati in zona San Giovanni Appio”, la polizia sarebbe riuscita a individuare in tempo reale la cabina da cui l’Amerikano stava chiamando il Vaticano. Sembra che il soggetto si trovasse in via Merulana, un uomo non giovane, di statura e corporatura non precisate. Era riuscito a sfuggire “per un soffio” agli agenti accorsi tempestivamente in loco con una moto e un’auto civetta. Una recente analisi fonica avrebbe identificato il telefonista in Marco Fassoni Accetti, fotografo romano autoaccusatosi, nel 2013, del rapimento della Orlandi e il cui effettivo coinvolgimento nella vicenda è oggetto di valutazioni contrastanti. Dalla descrizione fornitane da Cavaliere, l’Amerikano sarebbe risultato un uomo “non giovane”, il che sembrerebbe però escludere tale possibilità.
Nel corso dell’audizione, il poliziotto avrebbe poi fatto riferimento anche all’avvocato Gennaro Egidio, all’epoca noto in Italia e all’Estero, console onorario di un sultanato arabo e, in più di una circostanza, collaboratore dei servizi segreti. Dopo la scomparsa della Orlandi e della Gregori, ha assistito le rispettive famiglie: la sua parcella, nel primo caso, sarebbe stata corrisposta dal Sisde. A quanto si legge su Fanpage, durante le indagini, Cavaliere avrebbe fatto visita a Egidio nel suo studio, descritto come “extra lusso, senza neppure un faldone in vista, tanto da non sembrare neppure uno studio legale.”
La novizia
Nel luglio 1993, una fonte confidenziale dell’avvocato, Frank Dobon, aveva riferito che la giovane cittadina vaticana era stata irretita, sedata e traferita nel monastero benedettino di Peppange, una cittadina nel comune di Roeser, nel Lussemburgo meridionale.
Cavaliere, insieme al giudice istruttore Adele Rando, aveva accompagnato i familiari di Emanuela fin laggiù, dove si era potuto accertare l’infondatezza della notizia fornita dal confidente: la giovane ritratta nelle foto pervenute per suo tramite agli Orlandi era, in realtà, una novizia belga.
Il ruolo dell’avvocato Egidio
Abbiamo fatto cenno alla documentazione trasmessa dall’Archivio centrale dello Stato alla Commissione di inchiesta. Da essa, scrive il Messaggero, sembrano emergere elementi proprio relativi all’avvocato Egidio. A quanto si legge in un incartamento datato 1983, il Servizio centrale per la Sicurezza dello Stato avrebbe effettuato “accertamenti” su di lui, anche relativi al suo stato familiare e patrimoniale.
Il relativo “appunto” riporta informazioni sul padre, sulla sorella, sulla moglie americana e ripercorre la sua vicenda biografica: nato a Roccapiemonte, in provincia di Salerno, il 17 settembre 1925, si era iscritto al Partito comunista nel 1948 e trasferito a Roma nel 1953. Lo stesso anno, aveva trovato un impiego “in qualità di segretario particolare, presso la Legazione di Ceylon” nella Capitale.
Secondo taluni, si legge ancora sul Messaggero, il ruolo effettivamente svolto dal legale nei casi Gregori e Orlandi rimane misterioso.
Il 9 maggio 2024, all’avvio dei lavori della Commissione di inchiesta, Maria Antonietta Gregori, sorella di Mirella, e Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, ascoltati nella medesima seduta, si sono confrontati proprio su Egidio.
“I Servizi dissero che era un avvocato di fama internazionale e già seguiva la famiglia Orlandi”, ha riferito Maria Antonietta Gregori, “visto che c’erano state queste telefonate di proposta di scambio con Ali Agcà. Noi fummo travolti da Gennaro Egidio, dicemmo di sì ma mentre gli Orlandi non lo hanno mai pagato una lira, mio padre e mia madre hanno pagato, si sono indebitati parecchio, le sue parcelle erano salatissime.”
“Quando i Servizi proposero a mio padre Egidio”, ha replicato Pietro Orlandi, “lui disse, ‘io non me lo posso permettere’ e Gramendola [Gianfranco, funzionario dei Servizi segreti, ndr] disse, ‘voi non vi dovete preoccupare’ quindi non sappiamo poi se lo pagava il Vaticano, venne il giorno dopo il cardinale Giovan Battista Re a chiederci dove lo avevamo trovato e poi abbiamo saputo che si occupò di Calvi.”
Gramendola, il citato funzionario dei Servizi, ha sempre smentito di aver consigliato l’avvocato Egidio alla famiglia di Emanuela. Tra l’altro, il 22 luglio 1983, a un mese dalla scomparsa della quindicenne cittadina vaticana, lo zio Mario Meneguzzi aveva annunciato al Tg1 che sarebbe stato il predetto legale a rappresentare la famiglia della giovane. Come riportato da Andrea Purgatori sul Corriere della Sera del successivo 28 luglio, lo stesso Meneguzzi avrebbe dichiarato, parlando di Egidio: “Lo ritengo più adatto a questo genere di cose del mio legale abituale, l’avvocato Adolfo Gatti.”
E Pietro Orlandi ha recentemente spiegato in proposito: “Ma vi pare che mio zio in quell’intervista potesse dire che quell’avvocato ci era stato dato dal Sisde? Ma non capiscono questi giornalisti che la prima cosa che questo ufficiale disse a mio padre e mio zio fu: ‘Naturalmente chiunque lo chieda è una vostra scelta.’ […]?”