Pescara. L’alta cucina può essere economicamente sostenibile di questi tempi? È tutta una questione di filosofia del lavoro. E di buona volontà. Di impostazione che si sceglie di dare in cucina, nell’approvvigionamento delle materie prime, nel contenimento dei consumi e degli scarti di lavorazione, nel risparmio energetico, nel non dover pagare l’affitto perché l’immobile, il più delle volte storico, è di proprietà e, non ultimo, nella forza della famiglia unita.
Che si accontenta di “una misera paga da dipendente” anziché da dirigente, e che lavora “anche sedici ore al giorno con buona pace e senza minacciare vertenze”.
La mettono così Peppino Tinari del Villa Maiella di Guardiagrele (Chieti) e Marcello Spadone de La Bandiera di Civitella Casanova (Pescara), maestri di cucina e patron di storiche attività di ristorazione stellate Michelin e quotate in alto su tutte le guide di settore, mostrando la veritiera altra faccia dell’alta ristorazione. Virtù Quotidiane ha voluto interpellarli sull’onda dell’inchiesta che Report ha dedicato agli chef stellati.
“Non chiudiamo in perdita” dice Tinari a Vq, riconoscendo un fatturato di poco superiore al milione di euro. “Ci salviamo” racconta, “perché la nostra proposta si basa essenzialmente su prodotti di territorio. Che non significa che non costano, ma lavoriamo le materie nella loro interezza: dell’agnello che ricompro intero al mattatoio dal pastore, lavoro tutte le parti perciò lo acquisto a prezzo concorrenziale, diversamente se comprassi solo costatine o coscia. Così per gli ortaggi non passo per il rivenditore, acquisto da un paio di contadini che ci danno la qualità di pomodori e zucchine che chiediamo, dei vegetali e frutta che avanzano facciamo continuamente marmellate per le colazioni”.
Riconosciuto Cavaliere ufficiale della Repubblica italiana e insignito di molteplici titoli gastronomici, Tinari prosegue: “Un ruolo importante riveste la nostra azienda agricola con cento capi di maiale nero allevati con cereali e granaglie che seminiamo e coltiviamo noi. Sui nostri terreni raccogliamo la legna che alimenta il grande camino nella hall, messo lì per dare un tocco estetico e rivelatosi essenziale per riscaldare le quattordici sale da bagno della struttura. Per risparmiare sull’elettricità ci siamo dotati di apparecchiature a basso consumo, utilizziamo due forni più piccoli quando si cucina per meno persone, abbiamo tutte le illuminazioni a led, ricarichiamo le auto elettriche nel fine settimana e ci arrangiamo nei lavoretti di manutenzione in autonomia”.
“Insomma ci spremiamo il cervello per stare nei costi (85 euro menu di dieci portate, 105 menu di dodici, ndr) perché”, sottolinea Tinari, “l’aumento di prezzo del menu è scoraggiante per il cliente, magari offro un caffè di meno ma non alzo i prezzi, non dimentichiamoci che il meccanismo della domanda e dell’offerta deve essere conveniente per entrambe le parti. E poi” considera, “è vero che ci troviamo in un bel posto qui sotto la Maiella, con tutti i vantaggi per noi di reperire le materie prime direttamente dai produttori vicini, ma è pur vero che devi farcele arrivare le persone fin qui mentre in città passano fiumi di persone. Ognuno si deve adeguare al posto dove si trova, il consenso te lo dà il cliente che ritorna”.
“E sì che c’è differenza tra stellati di periferia e stellati di città dove è più semplice trovare gente disposta a spendere in un ristorante stellato ed è necessario prenotare molto in anticipo. Ma Report, che amo peraltro, ha generalizzato molto e fatto di tutt’erba in fascio” attacca Marcello Spadone de La Bandiera, ristorante con camere da quest’anno anche stella verde Michelin – alta gastronomia & avanguardia nella sostenibilità – incastonato come una gemma nel ruvido entroterra vestino alle falde del Gran Sasso. “Non è tutto così come dipinto nella trasmissione che parla di prezzo medio del menu degustazione per 1 stella a partire da 130 euro. Da noi si spende quasi la metà, 75 euro per 6 portate, stuzzichini, dolce e piccola pasticceria finale compresi”.
“Ognuno si adatta come può, noi fatichiamo tanto e ci crediamo, sono contento per come vanno le cose, siamo economicamente sostenibili”, ammette lo chef patron confermando un fatturato che supera il milione di euro. “Siamo un ristorante di estrema periferia, in un ambiente di montagna wild e per niente turistico, è normale” sottolinea, “doversi saper muovere, lavorare in un certo modo, avere una filosofia giusta per attrarre clientela: accoglienza a regola d’arte e una proposta legata a questo territorio. Noi vendiamo un’originalità oggi scomparsa, un prodotto di livello diverso. La nostra forza è proprio questa oltre al fatto che siamo una famiglia e lavoriamo più dei nostri dipendenti”.
“Un elemento cardine è rappresentato dalla nostra azienda agricola per la quale abbiamo significativi progetti di ampliamento a breve, ”annuncia Spadone, “un investimento che ci costa sacrificio e molto lavoro, ma lo facciamo con voglia e passione perché ci piace. Il nostro antipasto è realizzato al cento per cento con erbe spontanee e verdure del nostro orto e cambia in relazione ad esso, da sempre proponiamo un menu totalmente vegetale e un altro al cinquanta per cento con prodotti reperiti da piccoli produttori e allevatori in zona, è il nostro modo di lavorare, non abbiamo apportato aumenti di prezzo significativi”.
Quanto a consulenze e ospitate tv, vero business dei masterchef più in vista, Spadone aggiunge: “Mai sfruttato questa opportunità perché non ne ho materialmente il tempo ma riconosco che questo possa apportare vantaggi all’attività di un ristorante stellato. Il problema è sempre soggettivo, se dovessi portare avanti La Bandiera a Civitella Casanova senza l’aiuto della mia famiglia e fossi andato in vacanza qualche volta in più sarei andato fallito già da molto tempo. È tutta una questione di scelte, noi ci priviamo di tantissime cose, per esempio non riesco a godermi come vorrei i mei due bellissimi nipotini. Giusto ieri mi sono concesso uno svago sulla neve ma anche oggi che è giorno di riposo (martedì scorso, ndr) sono qui a seguire i lavori per un ulteriore parco fotovoltaico che ci renderà totalmente autosufficienti sotto il profilo energetico”.
Dai monti alle colline teramane vista mare la stella che brilla – due volte, da quest’anno anche green star per l’avanguardia nella sostenibilità – è quella di Davide Pezzuto, chef e ideatore con la manager Nuccia De Angelis del primo ristorante diffuso in Italia, il D.One, progetto di ristorazione e ospitalità diffusa lanciato nel 2016, che scommette sulla rinascita del borgo medievale di Montepagano di Roseto degli Abruzzi (Teramo) con vista mozzafiato dai monti al mare, wedding location ideale (e televisiva) mirata a un target di lusso e internazionale.
“Quella della sostenibilità economica è una sfida difficile tra necessità di eccellenza, qualità delle materie prime, degli strumenti e delle suppellettili, qualificazione del personale e costi relativi rapportati ai ricavi. Già raggiungere il pareggio può essere considerato un successo” dichiara a Vq la patronne Nuccia De Angelis, anima dell’accoglienza in continua evoluzione del format D.One (7 portate – terra, vegan o veggie – a cento euro, opzioni fino a 150 e 180 euro).
“Senza canali di introito paralleli, bistrot, catering, eventi et similia garantire redditività è un’impresa. A maggior ragione se non si insiste su aree metropolitane ad alta densità e reddito pro capite medio-alto”, conferma la manager rosetana. “Senza i canali paralleli e non potendo garantire costantemente occupancy adeguata anche nei giorni feriali, altro limite delle zone non metropolitane, i costi del personale e delle materie prime sono i più elevati. Rispetto al fatturato possono spesso superarne il livello”, conclude.