Pavia. Lo avevamo preconizzato nei giorni scorsi e si era trattato, a dire la verità, di una facile previsione. Ed ecco qua: i giornali riportano che, dal corposo materiale dell’inchiesta sul delitto di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007, e segnatamente dalla documentazione relativa alla scena del crimine, sarebbe emersa una ulteriore traccia che potrebbe rivelarsi decisiva ai fini dell’identificazione dell’assassino o degli assassini della giovane.
E la circostanza non ha mancato di innescare il consueto, inevitabile meccanismo mediatico che vede gli esperti in servizio permanente effettivo formulare giudizi e valutazioni, proporre scenari, palesare esecrazione per come le indagini sono state svolte a suo tempo, esprimere auspici sui futuri sviluppi, etc.
A dire la verità, seguiamo tutto ciò con sempre maggiore affanno e senso di saturazione. Ci dedichiamo alla cronaca giudiziaria e alla criminologia, il delitto di Garlasco rientra necessariamente nel nostro ambito di interesse e dar conto degli sviluppi della nuova inchiesta in corso è nostro preciso dovere professionale. Ma l’incessante chiacchiericcio che fa da sottofondo e spesso sovrasta il lavoro degli inquirenti e degli avvocati costituisce, ci sembra, un fenomeno a sé e, come tale, meriterebbe di essere studiato in modo specifico.
L’inchiesta e il rumore di sottofondo
Sembra che il brutale omicidio, i relativi sviluppi giudiziari, le vicende personali dei vari protagonisti, i presunti e misteriosi retroscena esoterico-occultistici, etc., siano ormai divenuti per il pubblico materia narrativa ascrivibile più alla fiction poliziesca che alla realtà, da cui si pretendono continui colpi di scena, sviluppi clamorosi a oltranza, adrenaliniche rivelazioni shock. Il tutto commentato, valutato, sezionato da giornalisti, avvocati, criminologi, criminalisti, blogger, youtuber, ormai divenuti presenze familiari, quotidiane per milioni di spettatori e di utenti.
Si ripropone spesso l’auspicio che possa giungersi, finalmente, alla verità sul caso, che Chiara possa avere finalmente giustizia. Il permanere dell’attuale, costante incertezza, sembra però garantire ininterrotta visibilità mediatica. Esperti, veri o presunti, si vedono assicurata la possibilità di continuare a disquisire senza posa su ogni aspetto del caso, circumnavigandolo ininterrottamente, per trovarsi poi sempre al punto di partenza e ricominciare da capo.
Intendiamoci: come forse traspare da queste nostre cronache, siamo anche noi persuasi che, nel caso di specie, la verità processuale e quella sostanziale non risultino sovrapponibili e che si necessiti quindi di riconsiderare il delitto, riesaminando le risultanze investigative disponibili e acquisendone di ulteriori. Ma dubitiamo che il chiacchiericcio da cui siamo assillati ogni giorno possa rivelare la minima utilità a tale fine. Salvo eccezioni – che pure indubbiamente ci sono e di certo meritano il plauso di lettori e spettatori – più che i rigorosi approfondimenti del giornalismo di inchiesta ravvisiamo in massima parte una attitudine al pettegolezzo, che si limita a mimare (malamente) l’attività di reportage e che non vorremmo riferita alla drammaticità di un omicidio irrisolto.
Un altro Dna maschile?
Detto ciò, eccoci pronti a dare conto dell’ultima (per ora) sorpresa riservata dalla scena dell’omicidio di Chiara Poggi: dal materiale dell’inchiesta del 2007 sarebbe riemerso un ulteriore Dna sconosciuto, sul pollice della mano destra della giovane. La stessa mano sul cui mignolo erano presenti anche tracce biologiche che, a dire della Procura di Pavia, sarebbero riconducibili all’attuale indagato, Andrea Sempio (come allo stesso sarebbero attribuibili – sempre secondo le conclusioni dei consulenti di parte della Procura – residui sul pollice della mano sinistra della vittima). All’epoca della prima indagine, il “nuovo” campione di Dna sconosciuto, acquisito tramite tampone, era stato contrassegnato dal Ris di Parma con la sigla MDX1 e, all’esito dei prescritti esami, ritenuto non utile a fini identificativi.
Un riferimento alla traccia in questione si trova in una nota tecnica allegata agli accertamenti irripetibili effettuati a Parma il 10 settembre 2007: “Il consulente tecnico del Pm, Cap. Alberto Marino, procede a riamplificare in tre round amplificativi distinti il campione contrassegnato dalla sigla ‘MDX1’ che, relativamente ai marcatori autosomici (kit Identifiler), aveva manifestato la presenza di una possibile commistione fra due Dna distinti.”
Il materiale era stato esaminato in contraddittorio, alla presenza del genetista Matteo Fabbri, allora consulente della difesa di Alberto Stasi, il fidanzato della vittima poi condannato per il delitto.
Il risultato degli esami è incluso nel verbale di operazioni tecniche dell’11 settembre 2007. Si erano visionati appunto gli elettroferogrammi relativi agli amplificati, in triplo, corrispondenti al campione MDX1. I tre elettroferogrammi “vengono considerati non interpretabili per via di un effetto ladder individuato in gran parte nei marcatori studiati dovuto molto probabilmente a un’amplificazione random e quindi casuale del Dna.” “Inoltre”, aveva scritto Fabbri, “l’altezza dei picchi non è particolarmente elevata.”
La relazione finale aveva classificato la traccia con aplotipo Y negativo. Si sarebbe trattato, comunque, di un profilo maschile. Lo stesso profilo è stato poi riesaminato nel 2014 da Francesco De Stefano, il genetista che ha isolato il Dna di Ignoto 1 sul mignolo destro e sul pollice sinistro di Chiara.
Secondo quanto riportato dagli organi di stampa, oggi potrebbe risultare possibile ricondurre a una persona la traccia MDX1 sopravvissuta nei tre elettroferogrammi all’epoca non interpretabili.
Quindi, riassumendo e cercando di districarci nel groviglio delle tracce genetiche presenti sulle mani di Chiara Poggi:
1) Mano destra: a) sul pollice, traccia di Dna contrassegnato come MDX1; b) traccia di Dna che la Procura afferma essere di Sempio; c) sul mignolo, traccia di Dna di Ignoto 1.
2) Mano sinistra: a) sul pollice, traccia di Dna che la Procura afferma essere di Sempio; b) traccia di Dna di Ignoto 1.
Si auspica che, a breve, sia possibile stabilire in modo definitivo se le tracce che gli inquirenti ritengono di poter attribuire a Sempio siano riconducibili o meno all’indagato. Per il momento, sembrerebbe comunque ragionevole l’ipotesi (se non altro, da vagliare con rigore, senza pregiudizi e riguardi) che nell’iter criminis siano stati coinvolti più offender. Tra cui, se quanto emerso nei giorni scorsi è corretto, anche una donna non ancora identificata. Non resta quindi che attendere i prossimi, effettivi sviluppi dell’indagine. Cercando di sopravvivere al rumore di sottofondo.
Il mistero delle foto scomparse
“Ogni scena del crimine è un’aula di scuola dove l’offender insegna agli investigatori qualcosa di sé.” È il motto dell’Unità di Analisi Comportamentale dell’F.B.I., i cui componenti si dedicano a quel tipo di indagine criminologica nota come criminal profiling: esaminando le risultanze delle indagini sulla scena del crimine (verbali di sopralluogo, fotografie, videoriprese, relazioni tecniche relative alle varie tipologie di tracce repertate in loco, referti autoptici, etc.) e valutando il tutto attraverso le categorie definitorie elaborate della ricerca criminologica, il profiler tenta di stilare una lista di caratteristiche personologiche dell’offender, per fornire agli investigatori possibili orientamenti nell’indagine.
A tale scopo è ovviamente necessario che il materiale su cui condurre l’analisi sia raccolto con la massima accuratezza: il profiler deve poter acquisire una conoscenza dettagliata e approfondita del contesto in cui il delitto è avvenuto, delle tracce materiali lasciate dal criminale, per individuare – laddove possibile – le peculiarità comportamentali e motivazionali di quest’ultimo.
Per quanto riguarda il caso di Garlasco, apprendiamo dal Tempo che alcune fotografie scattate in sede di sopralluogo nella villetta della famiglia Poggi, in cui è avvenuto il delitto, non sarebbero mai approdate in dibattimento. Circostanza invero già nota, tornata oggi all’attenzione del pubblico, come le tracce di Dna sul corpo della vittima e sul locus commissi delicti. Vediamo.
Martedì 17 marzo 2009. È in corso il processo di primo grado nei confronti di Alberto Stasi. La difesa del giovane ha segnalato che, nella numerazione automatica della fotocamera impiegata per i rilievi in sede di sopralluogo, risulterebbero dei salti, dunque delle foto sarebbero mancanti. Il Pm Rosa Muscio conferma: nella documentazione in atti sono presenti i cd e i fascicoli cartacei consegnati dal Ris e dai Carabinieri di Vigevano. Mancano le altre foto.
Il giudice Stefano Vitelli, cui in seguito si dovrà la prima assoluzione di Stasi, chiede chiarimenti. Sembra che le immagini siano state sovrascritte, perché la memory card della fotocamera impiegata a Garlasco sarebbe stata successivamente utilizzata per altri sopralluoghi.
Le foto sovrascritte avrebbero forse potuto consentire una più dettagliata conoscenza della scena del crimine, facilitando le attività volte alla ricostruzione della dinamica dell’evento e la “lettura” delle tracce ai fini del criminal profiling. Approdando, forse, a differenti esiti giudiziari.