L’Aquila. Non c’è tradizione che non si rispetti in Abruzzo e non c’è abruzzese doc che non rispetti la tradizione il giorno di Natale, soprattutto quando ci si riunisce in famiglia attorno ai buoni sapori di una tavola imbandita a festa.
Per il cenone della Vigilia il re delle tavole abruzzesi è sicuramente il baccalà: fritto in pastella, al sugo con i peperoni e le olive oppure al forno con le patate. Il ripieno del fritto può essere anche a base di verdure quali broccoli, carciofi o carote. In questa formula di antipasto rientra anche la verza con i fagioli e una deliziosa insalata di totani e calamaretti conditi con carote, sedano, cipolla, prezzemolo, patate lesse e olive.
Dopo il ricco antipasto entrano in scena sulle tavole i grandi primi. All’immancabile chitarrina all’uovo saltata con tonno sott’olio per gli amanti dei sapori più atavici si unisce la minestra col cardone (carciofo dalle foglie molto grandi): un brodo leggero fatto di carni miste e verdure. Il suo segreto è tutto nella cottura, deve infatti bollire per circa tre ore. Per i palati più sopraffini la pasta con il tonno può essere sostituita con un primo piatto tipico della tradizione teramana: le “scippelle ’mbusse”: sottilissimi frittatine preparate con farina, uova e acqua bagnate con brodo. Nell’aquilano per il cenone del 24 dicembre la tradizione porta in tavola sette diverse portate, le famose “sette minestre” a base di ceci, lenticchie, cavoli fritti, baccalà, pasta con il tonno, capitone e riso in bianco. Questi primi piatti lasciano il posto alla lasagna o timballo abruzzese per il pranzo del 25.
Fiore all’occhiello tra i secondi piatti della Vigilia è il capitone servito in umido o marinato. Ma il costume vuole che si portino sulle tavole anche i filetti di trota e i gamberi di fiume.
Il Pane Rozzo, ovvero il Parrozzo, è il dolce per eccellenza del Natale abruzzese caro anche al poeta Gabriele D’Annunzio che dopo aver assaggiato, per la prima volta, quello del pasticcere pescarese D’Amico ne esaltò la bontà con i famosi versi : “È tante ‘bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè” (E’ tanto buono questo nuovo parrozzo che sembra una follia di San Cetteo). Il Parrozzo nasce nella società agricola come antico pane delle mense contadine che i pastori abruzzesi ricavavano dalla meno pregiata farina di mais, e una volta impastato veniva cotto nei forni a legna. La sua inimitabile forma semisferica e la copertura di finissimo cioccolato accompagnano dolcemente tutto il periodo delle feste. In linea con la tradizione dolciaria della nostra regione trionfano a chiudere il menu i calcionetti o cagionetti: fagottini fritti simili a dei ravioli, caratterizzati da un pasta leggera, ripieni di purè di castagne, miele, cannella, cioccolato e frutta secca. Tra i dolci simbolo del Natale resistono anche i ceci ripieni (panzerotti fritti o al forno ripieni di un impasto di ceci e frutta secca), mostaccioli e scarponi, taralli di marmellata e mosto cotto.
@baldaroberta @fededimarzio84