Rocca di Mezzo. “Tutti vogliono vivere in cima alla montagna ma la felicità e la crescita si trovano nel cammino per scalarla”. È il primo commento, fatto con le parole di Confucio, di un gruppo di “amici abruzzesi” che qualche giorno fa ha scalato il Monte Bianco. Sono giorni di grande tristezza per il “popolo della montagna”.
Per quell’enorme comunità di appassionati, ma anche di professionisti delle vette, che si sono ritrovati a fare i conti con la tragedia seguita al distacco di un pezzo di ghiacciaio che si è portato dietro rocce e detriti alla Marmolada, che ha ucciso 11 alpinisti.
Ma la montagna è anche questo. E chi la sceglie si lega con un patto che è difficile da spiegare. E che mette in conto tutto. Anche l’imprevedibile.
È stata un successo la scalata di otto amici dell’Altopiano delle Rocche (amano definirsi così anche se in realtà due di loro sono originari dell’Aquila, precisamente di Bagno e Sant’Elia e uno di Roma) e appassionati di montagna che qualche giorno fa sono saliti sulla vetta del Monte Bianco.
Partiti dalla cittadina di Chamonix e accompagnati da quattro guide esperte della società Mountain Evolution, sono saliti fino al rifugio Gouter per poi proseguire, alle 3 del mattino, fin su in vetta, percorrendo la via normale francese. Un’impresa realizzata in poco più di due ore, in una notte stellata prima e con un’alba limpida dopo. Piuttosto rare in cima alla montagna più alta della “vecchia” Europa (4810 mt).
Una preparazione attenta, durata mesi, per far sì che tutto andasse nel verso giusto. Complice il meteo favorevole, il gruppo ha raccontato di un’esperienza indimenticabile.
“Le grandi montagne, anche se ormai tutte conquistate, riescono ancora a regalare emozioni. Certo si tratta di emozioni diverse da quelle che suscitavano le aspirazioni di scoperta nei primi esploratori ma non per questo meno appaganti”, raccontano Giuseppe Marinopiccoli, Italo Sciutto, Matteo Franceschi, Luca Festuccia, Massimo Nunziata, Claudio Benedetti, Lorenzo Del Maestro e Sandro Pallotta, accompagnati nella loro impresa dalle guide Marco Zaffiri, Tony Caporale, Domenico Totani e Marco Ghiglia (l’unico non abruzzese: è di Cuneo).
Il ritrovo all’Altopiano delle Rocche, la località abruzzese dove la loro amicizia si è saldata tra allenamenti quotidiani in uscite di sci alpinismo, escursioni, sempre mixato con tanto divertimento. “Le previsioni meteo confermavano delle condizioni perfette. “Il nostro pensiero è stato spesso rivolto alla tragedia della Marmolada. Abbiamo deciso di partire inseguendo il sogno programmato da molti mesi”, dicono,”la salita al Monte Bianco viene spesso intesa come un percorso agevole o peggio, turistico. Ormai sono tantissime le proposte commerciali delle agenzie di settore. In realtà si tratta di un itinerario che non è affatto banale che mescola tratti di arrampicata su roccia e progressione in aperto ghiacciaio tra crepacci e seracchi. Basti pensare alla cavalcata nel buio sull’affilata cresta delle Bosses a oltre 4000 metri, esposta a un pendio strapiombante centinaia di metri o all’attraversamento al Couloir du Gouter, tristemente noto come ‘canale della morte’, in cui solo alla buona sorte gli alpinisti possono chiedere uno scudo dalle pericolose scariche di massi”.
“Al di là delle insidie tecniche, restano nel cuore le emozioni di due giorni speciali”, vanno avanti gli alpinisti, “il riposo a 3.800 metri non è certo ristoratore ma un pomeriggio al rifugio Gouter esalta le amicizie di una vita. È difficile spiegare cosa si prova quando ci sono solo le stelle e le lampade frontali che illuminano nella notte la marcia degli alpinisti, con le luci di Chamonix ancora cullata nel sonno 3000 metri più in basso. La salita in vetta in meno di tre ore sollecita la resistenza alla quota ma ammirare l’alba da una vetta ancora quasi deserta ripaga da ogni fatica”.
Le suggestive immagini della salita sul Monte Bianco
Quando si parla di montagna con gli esperti ci si ritrova qualche volta di fronte a persone che non riescono a trasmettere e a spiegare agli altri cosa si prova a conquistare una vetta. E con l’avvento dei social, soprattutto quando c’è qualcosa che non va, è facile trovarsi di fronte a bagarres mediatiche imbarazzanti.
Di certo non è questo il caso. Alla domanda di confidarci i momenti più emozionanti della loro esperienza sul Monte Bianco, Marinopiccoli risponde:
“A quasi 5000 metri ti devi aspettare di tutto. Oltre all’attrezzatura, indicata e controllata dalle guide, devi avere una buona preparazione fisica. Cosa che da noi non è semplice per il discorso quota. Riusciamo a prepararci sino a 3000 metri scarsi di altitudine e il fatto di dover fare una salita rapida di un giorno e mezzo è preoccupante. Ci ha aiutato però una notte a 3800 metri, al rifugio Gouter. Quando siamo partiti il morale era altissimo. Abbiamo scherzato, siamo da sempre un gruppo affiatato. Le guide le conosciamo anche personalmente, siamo tutti esperti di montagna, di escursioni, di scialpinismo. Siamo saliti sotto un bel sole. Dai 24° delle 9 del mattino del paese siamo saliti con la funivia e poi in trenino sino a 2400. Poi zaino in spalla è iniziata la salita a piedi. Dopo un’ora e venti minuti eravamo già al primo rifugio le Tête Rousse, a 3186metri. Abbiamo mangiato una barretta, messo la maglia, il casco, l’imbraco e ci siamo legati in conserva per affrontare il tratto più impegnativo. Prima un tratto di 600mt di dislivello su rocce e marciume da arrampicate e poco attrezzato e la preoccupazione più grande: il canale detto ‘della morte’. Ci siamo arrivati in silenzio. Poi la guida ci ha detto: “Di corsa e vediamo di non inciampare e ci fermiamo sotto quel tetto di roccia”. In silenzio, le altre cordate ci guardano. Non si sentono sassi. Via. Abbiamo attraversato. Tutto ok. Eravamo i terzi. Passano anche gli altri. Potevamo andare. Ancora un’ora e dieci minuti e siamo usciti da quella “schifezza”. Era abbastanza freddo. Altri 600 metri su un sentiero innevato un po’ ripido e siamo arrivati al rifugio. Erano quasi tutti francesi, non ci capivamo molto tra noi. Ma la lingua in montagna è una sola. Colazione alle 2. Al risveglio la testa era un po’ pesante. A quella quota il battito del cuore rimbomba nelle orecchie. L’ansia un po’ si faceva sentire. Imbraco, frontale, ramponi, piccozza, guanti, cappello e siamo usciti. Eravamo l’ultima cordata di tutti a partire”.
Il Monte Bianco è frequentantissimo e molto amato dagli esperti. Si pensi che il rifugio del Gouter ha più di 100 posti ed è stato necessario prenotarlo a novembre.
Poi il racconto si fa più intenso. Talmente tanto che diventa “al presente”.
“La nostra guida ci dice: “Tanto siamo allenati li ripassiamo. Il passo si fa più intenso. Allora sorpassiamo i primi e via gli altri sino a raggiungere i nostri. Li passiamo. Qualche battuta. È notte fonda ma il cielo è limpido e stellato. Ci fermiamo un attimo prima di affrontare la prima salita più ‘seria’, mi volto e si vede tutta la valle illuminata dalle luci ma allo stesso tempo addormentata. Quasi mi dimentico che siamo oltre 3000 metri sopra. Continuiamo a salire e il vento inizia a farsi sentire. Ci fermiamo, una barretta, indossiamo il “guscio” e ripartiamo. Continuiamo a camminare e la neve si trasforma in ghiaccio sotto i ramponi. Il pendio è ripido e scalettato dal passaggio delle cordate dei giorni precedenti. La guida ci dice: ‘Stiamo attenti, non possiamo sbagliare, inciampare e scivolare vuol dire andare giù tutti’. Il vento aumenta e le mani iniziano a gelarsi. In pochi passi iniziano a farmi male e quasi non le sento più. Chiedo ai compagni di fermarci, mi prestano le moffole e con le difficoltà metto due scaldini. Muovo freneticamente le dita, ripartiamo altrimenti geliamo, siamo intorno a -10 ma con il vento la temperatura percepita è -20. In 10 minuti le dita si riscaldano e sto meglio. Il ritmo è costante ma più lento. Il battito del cuore è perfettamente chiaro così come il respiro. Inizia a fare giorno e manca l’ultima cresta un po’ affilata per la vetta. In un attimo ecco il sole. L’attimo dopo è già rotondo sui monti all’orizzonte. Intanto ci riuniamo alle altre tre cordate e iniziamo a gridare. Ci siamo arrivati! E ci abbracciamo forte! Tutti, uno ad uno…Siamo soli in vetta. È tutta per noi. 10 minuti e il freddo si fa sentire. Un po’ di thè che ha portato la nostra guida, un’altra barretta, tolgo la frontale, metto gli occhiali da sole e iniziamo la discesa. Emozioni e panorami difficili da dimenticare, ma soprattutto da descrivere. Ci aspetta tutta la discesa, non è finita, è pericoloso per il ghiaccio e per i crepacci. In un’ora e mezza appena siamo di nuovo al Guoter”.