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Crisi industriale e svolta bellica, la Rheinmetall dismette 40 siti civili, a rischio sede a Lanciano

Lavoratori in allarme, i Cobas denunciano: “Dal Green Deal all’economia di guerra”

Giulio Catalucci di Giulio Catalucci
24 Maggio 2025
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Lanciano – La multinazionale tedesca Rheinmetall ha annunciato la messa in vendita di circa 40 stabilimenti e centri di ricerca in Europa, Nord America, Cina e Giappone, coinvolgendo oltre 10mila addetti. Tra questi, 430 lavoratori italiani, inclusi quelli dello stabilimento Pierburg di Lanciano, sono ora a rischio. Una decisione che – secondo i Cobas – segna una svolta preoccupante verso la riconversione bellica dell’industria metalmeccanica.

 

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L’allarme era già stato lanciato lo scorso 17 maggio dai Cobas della zona industriale San Salvo-Vasto, durante il convegno “Dal Green Deal all’economia di guerra”. Il sindacato denunciava allora il rischio crescente che gli investimenti civili vengano dirottati verso il settore militare, in linea con una strategia già adottata da diversi gruppi industriali.

 

Un esempio significativo è proprio la collaborazione tra Rheinmetall e l’italiana Leonardo per la costruzione di un nuovo carro armato destinato a un futuro esercito europeo. Una joint venture che, per i Cobas, rappresenta il simbolo di una pericolosa deriva: quella dell’abbandono dell’economia civile in favore della più redditizia industria bellica.

 

“Non è solo questione di posti di lavoro, ma della qualità e del senso di quel lavoro,” si legge in una nota diffusa dal sindacato, che esprime solidarietà ai lavoratori della Pierburg di Lanciano e lancia l’allarme anche per la Teknè di Ortona, altra realtà industriale che potrebbe seguire lo stesso destino.

 

Tra le preoccupazioni espresse, anche quella che investire sulle armi significhi accettare, o addirittura prevedere, nuovi conflitti armati, sottraendo risorse fondamentali allo sviluppo civile e sociale. I Cobas chiedono alla Regione un intervento urgente, non con misure tampone come la cassa integrazione – definita “quasi sempre anticamera della chiusura” – ma con un vero piano industriale di riconversione civile.

 

“Siamo convinti – concludono – che solo una riconversione non bellica delle fabbriche metalmeccaniche possa garantire un futuro stabile ai lavoratori e uno sviluppo economico coerente con valori di pace e sostenibilità.”

 

Una chiamata alla politica e alle istituzioni affinché la trasformazione in atto non sia guidata solo dal profitto, ma da scelte responsabili e condivise.

 

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