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Coronavirus, l’Istituto Superiore di Sanità rivela: 1 paziente deceduto su 6 aveva deficit cognitivo

Giuseppe Maritato di Giuseppe Maritato
18 Novembre 2020
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Il 15,8% dei decessi legati alla pandemia da Sars-CoV-2 negli ospedali italiani, ovvero circa uno su 6, ha riguardato persone affette da demenza. E proprio questa condizione avrebbe ostacolato la diagnosi tempestiva accelerandone il peggioramento. Inoltre, queste persone hanno avuto minori possibilità di ricevere farmaci e di avere accesso alla terapia intensiva.

A mostrarlo uno studio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) in cui viene tracciato l’identikit di questi pazienti, particolarmente vulnerabili al Covid e da proteggere con particolare attenzione. Lo studio pubblicato su Alzheimer’s & Dementia: Diagnosis, Assessment & Disease Monitoring, ha esaminato le cartelle cliniche di 2.621 pazienti deceduti per Covid-19 e, tra questi, ne hanno identificati 415 affetti da demenza. Questi ultimi erano più spesso donne (47,2% contro il 29,6% dei pazienti Covid senza demenza) e più anziani (84,3 contro 77 anni). A differenza di chi non aveva demenza, mostravano meno frequentemente i sintomi tipici dell’infezione, come dispnea (68,8% rispetto al 74,3%) e tosse (30,9% rispetto al 40,3%).

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“E’ molto probabile – evidenzia Graziano Onder, direttore del Dipartimento malattie cardiovascolari e dell’invecchiamento dell’Iss – che sia stata proprio la demenza ad influenzare negativamente la sintomatologia” poiché la difficoltà nel segnalare i sintomi “ha ostacolato la tempestiva individuazione dei segni dell’infezione da Sars-CoV-2, con conseguente diagnosi tardiva e comparsa di complicanze gravi che hanno potuto evolvere più rapidamente verso la morte”. Si tratta inoltre di pazienti che hanno ricevuto in misura minore antivirali tra cui l’idrossiclorochina (41,6% rispetto al 60,6%) e steroidi (31,4% rispetto al 38,4%) e sono stati quasi del tutto esclusi dalle unità di terapia intensiva (4,5% rispetto al 23,2%). “Non stupisce perciò – sottolinea Marco Canevelli, ricercatore presso l’Iss e primo autore dell’indagine – che questi pazienti abbiano anche mostrato un peggioramento clinico più aggressivo, come suggerito dai tempi più brevi tra l’insorgenza clinica, il ricovero ospedaliero e la morte”.

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