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Coronavirus, l’ immunità nel mondo oscilla tra 1% e 9,6%

Francesca Salvati di Francesca Salvati
17 Giugno 2020
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Roma. Nonostante l’alto numero di casi, di fatto poche persone hanno sviluppato immunità al virus SarsCov2. La positività oscilla tra lo 0.13% di Rio Grand do Sul in Brasile, l’1.2% di Edimburgo, l’1,7% della Danimarca e il 3% di Parigi, 3.3% di Kobe, 9.6% a Whuan. Lo segnala lo studio condotto dall’ università di Modena-Reggio Emilia e Glasgow, che hanno passato in rassegna 66 ricerche sul tema.

Nell’indagine, pubblicata sulla rivista Reproductive biomedicine online, i ricercatori guidati da Antonio La Marca hanno visto che gli anticorpi al virus non sono numerosi neanche nelle popolazioni ad alto rischio, come gli operatori sanitari. In questo caso gli anticorpi sono risultati presenti nel 5.9% nello Utah, nel 5.4% a Lione, 1.6% in Germania e 2.6 % a Barcellona, mentre in Italia i dati pubblicati su Padova e Bari sono del 5.25% e 1.5% rispettivamente.

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“La sieropositività è ancora bassa nella maggior parte delle nazioni”, commenta La Marca. Gli studi più recenti e meglio condotti, continua, “ci dicono che la comparsa degli anticorpi può avvenire anche dopo più di due settimane. La percentuale di persone con anticorpi circolanti è vicina allo 0% nei primi 3 giorni di malattia, del 30% tra la 3° e 7° giornata, del 47.8% nella seconda settimana e del 93.8% dopo le prime due settimane”. Gli anticorpi quindi non permettono di identificare in modo preciso i pazienti affetti nei primi giorni di malattia, e non possono essere usati nel triage dei malati acuti. Uniti ai tamponi invece possono aiutare a identificare le persone risultate negative al tampone. La misurazione degli anticorpi resta, prosegue, “un ottimo strumento per tracciare la diffusione della malattia nella popolazione e l’efficacia della sieroconversione nei futuri test vaccinali”. Lo studio dimostra anche che la resa dei test anticorpali è strettamente legata al metodo di laboratorio usato. Quelli automatizzati più recenti sono più efficaci dei primi kit prodotti all’inizio della pandemia, mentre “i test rapidi, le cosiddette ‘saponette’ – conclude – hanno una performance mediamente così bassa da sconsigliarne l’uso”

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