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Coronavirus in Italia: solo 8.000 terapie intensive realmente attive, preoccupa carenza di rianimatori

Giuseppe Maritato di Giuseppe Maritato
18 Novembre 2020
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“La difficoltà delle terapie intensive è ormai trasversale a molte regioni, ed è in generale maggiore nei centri urbani più grandi. Ma c’è anche un divario tra posti in rianimazione annunciati e quelli reali. Rispetto ai 5.000 pre Covid ne contiamo ora non più di 8.000, quindi lontani dai 10.000 annunciati dal Commissario Arcuri. Inoltre, i dati sono particolarmente sovrastimati in alcune regioni, come la Calabria, dove molti dei posti annunciati sono poco più di un cantiere e dove preoccupa la carenza di specialisti”. A spiegarlo  è Alessandro Vergallo, presidente nazionale dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani – Emergenza area critica (Aaroi-Emac). Gli anestesisti hanno iniziato a lanciare l’allarme saturazione delle terapie intensive ben prima dell’applicazione dei provvedimenti restrittivi.

“Assistiamo oggi a quanto prevedevamo dai primi di ottobre, quando abbiamo iniziato a dire che la curva dei contagi iniziava crescere in modo esponenziale. Fino a prima delle misure assistevamo a un raddoppio dei casi circa ogni 10 giorni, oggi l’accelerazione della crescita è diminuita e assistiamo a un lieve rallentamento dell’aumento giornaliero. Gli effetti però sono ancora poco apprezzabili sulle terapie intensive, dato il ritardo di circa 20 giorni dei ricoveri rispetto ai contagi”. In Italia ci sono, tra pubblico e privato, 18.000 anestesisti rianimatori, di questi circa 14.500 sono quelli che lavorano in ospedali pubblici.

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“Ma il virus non è né morto né si è indebolito e per combatterlo stiamo saltando riposi, facendo turni più lunghi, ottimizzando al massimo il tempo che dedichiamo ai nostri pazienti. Limitarsi a moltiplicare i posti in terapia intensiva – conclude – non è la soluzione alla seconda ondata, anche perché siamo troppo pochi”.

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