Indifferibile la riforma della disciplina dei licenziamenti, imprescindibile per la sua stretta connessione con i diritti del lavoratore e per le sue ripercussioni sul sistema economico complessivo.
Lo afferma la Corte costituzionale nella sentenza n. 183 (redatta dalla vicepresidente Silvana Sciarra), in cui, pur dichiarando inammissibili le censure del Tribunale di Roma sull’indennità prevista dal Jobs Act per i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese, si rivolge al legislatore un monito a intervenire con urgenza in questa materia, predisponendo adeguate tutele.
La Corte Costituzionale, si legge in una nota, ha rilevato che “un’indennità costretta entro l’esiguo divario tra un minimo di tre e un massimo di sei mensilità vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda” e non costituisce un rimedio coerente con i requisiti di “adeguatezza e dissuasività” già affermati della Corte stessa.
“Il limitato scarto tra il minimo e il massimo determinati dalla legge conferisce un rilievo preponderante, se non esclusivo, al numero dei dipendenti”, e tale criterio, “in un quadro dominato dall’incessante evoluzione della tecnologia e dalla trasformazione dei processi produttivi”, non risulta indicativo della effettiva forza economica del datore di lavoro, né offre elementi significativi per determinare l’ammontare dell’indennità secondo le peculiarità di ogni singola vicenda.
La Consulta precisa che è rimessa alla valutazione discrezionale del legislatore la scelta delle soluzioni più appropriate per garantire tutele adeguate. Da qui, l’urgenza della riforma sollecitata dalla Corte.
Lo stesso Tribunale di Roma prefigura varie soluzioni per rimuovere i profili di contrasto con la Costituzione. Soluzioni che vanno dalla ridefinizione di un criterio distintivo incentrato sul numero degli occupati, all’eliminazione del regime speciale e alla ridefinizione delle soglie.
A ciascuna delle possibili scelte corrispondono “differenti opzioni di politica legislativa” frutto di “valutazioni discrezionali”, annota la Corte che, nel dichiarare l’inammissibilità delle questioni, evidenzia che “il protrarsi dell’inerzia legislativa non sarebbe tollerabile”.
Qualora la questione fosse riproposta, essa stessa provvederà dunque, direttamente, a intervenire sulla disciplina censurata.