Roma. Proseguirà la prossima settimana, dinanzi alla Commissione bicamerale di inchiesta sulla scomparsa di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi, l’audizione di Giancarlo Capaldo, già procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Roma, contitolare, tra il 2009 e il 2015, dell’indagine sui due casi. Capaldo è stato ascoltato nei giorni scorsi, ma, a causa di concomitanti lavori parlamentari, l’audizione si è dovuta concludere prima che i commissari avessero la possibilità di effettuare ulteriori approfondimenti e proseguirà appunto la prossima settimana.
Cinquantaquattro ragazze scomparse
“Un approfondimento che non è mai stato fatto è stato quello di comprendere come solo nel 1983 sono scomparse a Roma cinquantaquattro ragazze di età tra i quindici e i sedici anni, l’età di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori”, ha dichiarato Capaldo dinanzi all’organismo presieduto da Andrea De Priamo, “ce ne sono tante di spiegazioni, ma non è mai stata fatta un’analisi”. Secondo l’ex magistrato, i casi Gregori e Orlandi “possono essere trattati insieme con l’avvertenza che i responsabili dei due casi potrebbero essere diversi.”
In cerca di visibilità?
Capaldo si è poi soffermato su Marco Accetti, il fotografo romano che, nel 2013, si è autoaccusato del rapimento di Emanuela Orlandi. A sostegno delle sue dichiarazioni, all’epoca l’uomo ha consegnato un flauto identico a quello che la giovane, studentessa di musica, aveva con sé il giorno della scomparsa. Secondo alcune perizie psichiatriche, il soggetto – già condannato, com’è noto, per l’omicidio colposo del quindicenne Josè Garramon, avvenuto il 20 dicembre 1983 – sarebbe affetto da un disturbo narcisistico e, dunque, estraneo alla vicenda Orlandi-Gregori, nella quale avrebbe cercato di apparire coinvolto solo perché in cerca di visibilità.
“Secondo me erano necessarie ulteriori indagini, [Accetti] non può essere liquidato perché è pur sempre un soggetto che è presente nella vicenda Orlandi fin dal primo momento”, ha considerato Capaldo, “ci sono degli interventi, tanto per cominciare le telefonate di Pierluigi, la telefonata di Mario non perché si identifica con Accetti ma perché è la prosecuzione di Pierluigi. Poi si ripresenta come l’autore delle telefonate effettuate dal cosiddetto Americano che non è nient’altri che Accetti.”
Ulteriori elementi che, a detta dell’ex magistrato, non consentirebbero di trascurare Accetti in sede di indagine, sono i comunicati alla famiglia Orlandi spediti da Boston, dove viveva la moglie del fotografo, e la circostanza che, quando questi è stato arrestato per l’omicidio Garramon, “non c’è più l’Americano, non ci sono più i comunicati Turkesh [di rivendicazione del presunto sequestro della giovane], insomma non ci sono più gli interventi dei presunti rapitori.” Accetti, aggiunge Capaldo, ha inoltre dichiarato che al momento della scomparsa “Emanuela aveva le mestruazioni, un particolare che non c’era negli atti processuali e la famiglia lo ha confermato.”
“Inverosimile il legame con l’attentato al Papa”
“Oggi”, prosegue, “è inverosimile parlare di allontanamento volontario di Emanuela Orlandi”, così come, “dal mio punto di vista” lo è ipotizzare che la vicenda Orlandi “sia legata alla liberazione di Ali Agca e all’attentato al Papa.” Secondo Capaldo, “la storia ci consente di archiviare questa pista, che fu battuta anche con diligenza e intelligenza ma che non ha potuto portare da nessuna parte.”
Il ruolo di Enrico De Pedis
Ancora: “la banda della Magliana dal mio punto di vista non c’entra, c’entra Enrico De Pedis ed è una notevole differenza, la vicenda Orlandi è una vicenda ‘personale’ di De Pedis che aveva una vicenda personale a sua volta con don Pietro Vergari, nata dalla carcerazione.”
E su Sabina Minardi, la compagna di De Pedis, nota per le sue controverse dichiarazioni sul caso, “la ritengo attendibile su alcune cose, non su tutto.” Credibile, secondo Capaldo, quando riferisce “l’incontro improvviso con quella che poi ha capito essere Emanuela Orlandi quando De Pedis le ha dato appuntamento al Gianicolo, per consegnarla a un personaggio lungo le mura aureliane. Questa circostanza è importante perché del tutto inaspettata.”
L’ex magistrato ha dato conto, in proposito, di un riscontro significativo, quello dell’autista di De Pedis: “Uno di questi soggetti che avrebbero partecipato al sequestro è stato identificato in Sergio Virtù, autista personale di De Pedis.”
Un predatore a Roma?
Queste, in sintesi, le dichiarazioni finora rilasciate da Giancarlo Capaldo dinanzi alla Commissione bicamerale di inchiesta. Un passaggio a nostro avviso significativo riguarda il dato della scomparsa a Roma, nel 1983, di cinquantaquattro ragazze tra i quindici ed i sedici anni. All’epoca si è percorsa anche la pista della tratta delle bianche che però, a detta di Giuseppa Geremia, già sostituto procuratore presso la Procura di Roma, a sua volta ascolta dalla Commissione di inchiesta, non ha trovato alcun riscontro.
È lecito allora prospettare, riteniamo, la possibilità che tali scomparse o, almeno, parte di esse, possano ascriversi al medesimo responsabile. Di certo solo una congettura ma, ci sentiamo di affermare, non priva di plausibilità investigativa e criminologica. Dunque, un predatore che si sarebbe aggirato in quegli anni per la Capitale? Cosa ci dice la letteratura specialistica in proposito?
La scelta delle vittime
In tema di motivazioni, la più probabile sembrerebbe quella sessuale, variamente declinabile: il soggetto rapisce le sue vittime per soddisfare – in modo abnorme – i propri impulsi o per indulgere in rituali che compensano l’impossibilità di approdare alla soddisfazione degli impulsi stessi? In ogni caso, secondo la letteratura, assassini seriali del genere tendono a selezionale le proprie vittime in base a loro caratteristiche peculiari e distintive: un tratto fisico, un determinato abbigliamento, l’età, uno status sociale, etc. Si parla, in tal senso, di tipo ideale di vittima (ITV). Si riteneva, ad esempio, che il noto serial killer Ted Bundy individuasse le proprie vittime in base a certe loro caratteristiche fisiche: donne con lunghi capelli scuri, divisi da una scriminatura centrale. In seguito, intervistato dal criminologo Ronald Holmes, lo stesso Bundy ha precisato che il criterio della scelta era dettato dalla condizione di vulnerabilità della vittima.
Le modalità dell’aggressione
La letteratura tende a distinguere tra assassini seriali organizzati e disorganizzati, classificazione per la verità suscettibile di applicarsi anche ad altre tipologie di offender. Gli organizzati, quale che sia la motivazione che li induce a uccidere, tendono ad approntare una precisa modalità esecutiva dei loro delitti, un rituale che – potremmo dire – soddisfi sia la necessità di portare a termine l’iter criminis ottimizzando i risultati e minimizzando i rischi (componente razionale, soggetta da evoluzione), sia l’esigenza di indulgere nelle proprie problematiche fantasie (componente irrazionale, statica). A mero titolo di esempio, il citato Ted Bundy avvicinava le sue vittime fingendosi un poliziotto o una persona in difficoltà. Sfoggiando spesso un braccio o una gamba ingessati, chiedeva alla vittima di aiutarlo a caricare un oggetto pesante nella propria vettura, riuscendo in tal modo a farla entrare nell’abitacolo. In seguito la tramortiva, per poi condurla in un luogo isolato e portare a termine l’omicidio.
L’interazione con gli investigatori
Un altro tratto comportamentale talvolta riscontrato negli assassini seriali, è la tendenza a instaurare una interazione diretta con gli investigatori che indagano sui loro delitti. Anche in questo caso, la letteratura specialistica registra differenti modalità di espletamento di tale attitudine. Non è insolito che i serial killer, tramite lettere inviate a giornali e polizia, adottino atteggiamenti di sfida e irrisione nei confronti dei loro interlocutori, rimarcando la loro incapacità di individuarli e preannunciando ulteriori delitti.
È, tra gli altri, il caso dell’omicida seriale californiano Zodiac. Lo stesso Mostro di Firenze, a ridosso dell’ultimo duplice omicidio, nel settembre 1985, ha inviato per posta un lembo di seno della vittima femminile a un magistrato in passato impegnato a indagare sui suoi crimini.
L’attitudine a comunicare, da parte di soggetti del genere, può assumere anche tratti differenti, sostanziandosi in tentativi, più o meno vistosi, di influenzare gli sviluppi dell’indagine, di rivestire un qualche ruolo in essa.
È il nostro caso?
Questa sbrigativa e incompleta divagazione criminologica si pone come premessa di un quesito, sollevato dalle dichiarazioni acquisite dalla Commissione. I casi Gregori e Orlandi hanno una correlazione con la scomparsa a Roma delle cinquantaquattro ragazze di cui ha parlato Capaldo? E tali scomparse potrebbero plausibilmente ricondursi all’operato di un assassino seriale?
L’ex magistrato, lo abbiamo visto, ha considerato che, del singolare fenomeno “ce ne sono tante di spiegazioni, ma non è mai stata fatta un’analisi”. Si sono acquisiti, nelle vicende considerate, elementi come quelli sopra esaminati, eventualmente utili a rendere plausibile, nel caso di specie, tale interpretazione?
Riteniamo che, oltre alle piste investigative più note, riferite a complotti internazionali, ricatti, malavita organizzata e presunti intrighi d’Oltretevere, anche tale ipotesi meriterebbe di essere percorsa, per valutarne l’effettiva fondatezza.