Roma. La circostanza potrebbe costituire oggetto di interesse per la neonata commissione bicamerale di inchiesta che cercherà di fare luce sulla scomparsa di Mirella Gregori (7 maggio 1983) e di Emanuela Orlandi (22 giugno 1983). Una circostanza segnalata dal fratello di Emanuela, Pietro, sul suo profilo Instagram. Un vecchio articolo di giornale fa riferimento alla testimonianza di un sottoufficiale di polizia che avrebbe assistito al rapimento di Emanuela Orlandi. Conosceva di vista la ragazza perché, in forza al primo distretto, era comandato al Senato e prestava servizio al portone di palazzo Madama, poco distante dalla scuola di musica frequentata dalla cittadina vaticana. La vedeva passare due pomeriggi a settimana, quando lei usciva dalla lezione. “A forza di incontrarsi”, si legge nell’articolo, “Emanuela ogni volta salutava allegramente il sottufficiale, che era diventato una specie di vecchia conoscenza.”
Il pomeriggio del 22 giugno – riferisce l’uomo – la giovane esce come al solito dalla scuola, gli passa davanti, raggiunge la fermata dell’autobus 70 con una sua amica. Attende che quest’ultima salga sulla vettura e prosegue lungo la strada. Solo pochi passi. Un’auto “scura e potente” si accosta al marciapiede. Scende un uomo, che afferra Emanuela per un braccio e la trascina all’interno della vettura. L’auto si dilegua rapidamente, lungo la strada che pure risulta trafficata.
Questo il racconto del poliziotto al giornale oggi recuperato da Pietro Orlandi. L’agente ammette di essere rimasto per alcuni istanti interdetto, prima di comprendere di aver assistito a un rapimento. E aggiunge di essersi recato presso il suo distretto e di aver redatto una relazione su quanto osservato.
“Chi era quel sottufficiale?”, si chiede Pietro nel post pubblicato su Instagram. “Era lo stesso poliziotto Bosco, che testimoniò insieme al vigile nei giorni successivi, o era un altro testimone?”
Qui, Orlandi allude a quanto riferito, a ridosso della scomparsa, da un agente di polizia, Bruno Bosco, e da un vigile urbano, Alfredo Sambuco, in servizio davanti al Senato. Il vigile aveva riportato che una ragazza somigliante a Emanuela sarebbe stata in compagnia di un uomo alto circa un metro e settantacinque, tra i trentacinque e i quarant’anni, snello, vestito elegantemente, con il viso lungo, stempiato, che aveva con sé una valigetta o una borsa e che sarebbe giunto in loco alla guida di una Bmw Touring verde. Il poliziotto, nella medesima circostanza, aveva confermato che l’uomo recava in mano un involucro solido, forse un tascapane.
“E che fine ha fatto quella relazione che non ho mai trovato nei documenti in possesso della Procura?”, si chiede ancora Pietro, alludendo al rapporto redatto dall’agente. “Faccio un appello a questo sottufficiale di polizia affinché mi contatti, o a chi fu testimone quando questo poliziotto si presentò al distretto per fare la relazione.”
Certo, una circostanza singolare e potenzialmente utile. Un altro tassello del mosaico. Anche se non mancano ulteriori interrogativi. Perché pianificare e attuare un rapimento di fronte al Senato, in una zona della città particolarmente presidiata? Non sarebbe stato più agevole sequestrare Emanuela in un altro punto del tragitto da lei effettuato, che esponesse meno i rapitori al rischio di venire individuati e bloccati? E, in tema di dinamica, è possibile che l’auto degli sconosciuti possa essere ripartita – si legge nel racconto del testimone – “a tutta velocità nonostante il traffico della sera”?