Roma. Dopo le notizie circolate giorni fa, relative alle rivelazioni di un anonimo ex Nar, asserito vicino di casa di Emanuela Orlandi nel corso del suo ipotizzato soggiorno londinese, e alla presunta lettera del cardinale Poletti riferita alla possibile gravidanza della cittadina vaticana scomparsa nel 1983, attendevamo immancabili, ulteriori rivelazioni. Puntualmente giunte.
Una collanina giallorossa
Il Fatto Quotidiano propone due foto. La prima, la cui pessima qualità non permette di distinguere i dettagli, mostra una mano, quasi certamente di un uomo, su cui è posata una collanina in corda, “di quelle”, si legge, “che le ragazze negli anni ‘90 [forse si intendevano gli anni Ottanta, dal momento che ci si riferisce ad Emanuela] intrecciavano per poi mettersele strette al collo.”
La seconda ritrae Emanuela che indosserebbe una collanina identica, poco prima della scomparsa. L’articolo precisa che la giovane era una tifosa della Roma e riferisce che aveva realizzato la collanina per festeggiare lo scudetto della sua squadra del cuore, vinto proprio nell’estate 1983, in cui è avvenuta la scomparsa.
Entrambe le foto sono state consegnate al giornale dal fratello della giovane, Pietro Orlandi. Che ha ricevuto la prima da un uomo che, dopo ripetute sollecitazioni, gli avrebbe confessato di aver avuto contatti proprio con Emanuela. Secondo quanto dichiarato da Pietro nel corso di una puntata del programma Verissimo, il soggetto, all’epoca molto giovane, sarebbe stato vicino ai Nuclei Armati Rivoluzionari, gruppo terroristico di estrema destra e, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, avrebbe iniziato ad avere contatti con la Banda della Magliana, nonché con il cardinale Ugo Poletti.
“Qualcosa di più grande”
Lo stesso avrebbe inoltre dichiarato a Pietro di essere stato coinvolto nel rapimento della ragazza. Non per condurla ai festini cui altre giovanissime presumibilmente rapite sarebbero state destinate, ma altrove. Per Emanuela, “c’era in preparazione qualcosa di più grande.”
“Mi hanno chiamato come al solito per andare all’appuntamento per prendere una ragazzina come gli altri mesi e consegnarla a delle persone, questa volta era il 22 giugno, c’era anche stavolta una ragazzina ma a differenza delle altre volte in seguito è stata portata da un’altra parte.” Queste le parole dell’uomo a Pietro Orlandi, riportate dal Fatto Quotidiano. “Noi (io e un altro) siamo stati mandati a fare una telefonata alla sala stampa vaticana, cercavamo Casaroli, non c’era e secondo indicazioni abbiamo riferito che avevamo Emanuela Orlandi. Poi sono stato richiamato a luglio per andare a Londra, quello che è avvenuto nel frattempo non lo so, posso immaginare alcune cose ma io ti racconto solo quelle cose che conosco perché c’ero.”
L’inchiesta di Purgatori
Il quotidiano menziona, come elemento potenzialmente idoneo a confermare l’attendibilità di tali asserzioni, quanto una dipendente della Sala Stampa vaticana aveva dichiarato ad Andrea Purgatori, all’epoca dell’inchiesta da lui condotta sulla vicenda. Era stata lei, la sera della scomparsa, a prendere quella telefonata. Ma le è stato detto di dimenticarsi di tutto, dall’allora direttore della Sala Stampa, Romeo Panciroli.
La sera stessa, il segretario di Stato, Agostino Casaroli, che in seguito avrebbe attivato una linea privata per parlare con chi aveva notizie sulla ragazza (numero interno, 158) si trovava in Polonia con Giovanni Paolo II. Che sembrerebbe essere stato informato della scomparsa prima ancora della famiglia.
Vicino di casa
Lo stesso uomo avrebbe poi confessato a Pietro di aver vissuto per diversi anni nell’appartamento di fianco a quello in cui sarebbe stata segregata, a Londra, Emanuela Orlandi. In una struttura adiacente a un convitto dei Padri Scalabriniani, nella stessa strada indicata nei documenti di cui si è parlato tempo fa, ricomprendenti la nota delle spese sostenute dal Vaticano per il mantenimento della ragazza. Nota di cui, è bene ricordarlo, alcuni negano l’autenticità.
Dropping
E, in tema di documenti, riconsideriamo le lettere presentate nel corso della predetta trasmissione, di cui si è parlato giorni fa. La prima, datata primo febbraio 1993, sarebbe stata inviata dal cardinale Poletti a sir Frank Cooper, alto funzionario del governo britannico. Il mittente ringrazia il destinatario per la “risoluzione immediata del problema totalmente inaspettato e indesiderato”, spiegando che “la signorina Emanuela Orlandi, è stata protagonista di vicende di primaria importanza nel panorama diplomatico internazionale ed è tuttora di vitale primaria importanza che la signorina Orlandi rimanga viva e in salute, per quanto con le apostoliche sedi è chiara la visione del Vaticano nello stabilire che anche un feto all’interno del grembo materno possiede un’anima.”
A quanto si legge nell’intestazione, la lettera proviene dal Vicariato ma, nel 1993, Poletti non era più vicario di Roma. Lo si legge su Open e su La Nuova Bussola Quotidiana. In un articolo pubblicato su quest’ultimo, si considera che “sfugge il motivo per cui il cardinale non più vicario, su carta intestata del vicariato di Roma – che è altra cosa rispetto al Governatorato dello Stato della Città del Vaticano dove viveva la ragazza – avrebbe dovuto scrivere una lettera del genere, su una vicenda di cui da un decennio parlava tutto il mondo, ad un rappresentante di rango di un governo estero con cui abitualmente è la Segreteria di Stato e la rispettiva nunziatura ad avere a che fare.”
Sul punto, Pietro Orlandi ha sostenuto che “all’epoca, per documenti particolari, venivano inserite delle cose, per cui se fossero diventate pubbliche si poteva dire che era un falso.” In ogni caso, quando si sono svolti i fatti, anche Cooper, il destinatario della presunta missiva, era già in pensione da tempo: lo si legge, ancora, sulla Nuova Bussola Quotidiana.
L’altra lettera mostrata in trasmissione è datata 1995 e reca la firma del cardinale Camillo Ruini. Open riporta la valutazione espressa su entrambe dalla grafologa forense Sara Cordella, specializzata in grafologia criminologica, docente e perito del Tribunale di Venezia.
Secondo l’esperta, la lettera firmata da Poletti è falsa. Realizzata utilizzando un’altra sua lettera, datata 11 febbraio 1982. Come falsa, a detta di Cordella, è quella recante la firma di Ruini. A sua volta creata artificiosamente utilizzandone un’altra risalente al novembre del 2002. “Questa attività si chiama ‘dropping’ e consiste nel ritagliare dei pezzi di un documento e successivamente incollandoli in un documento realizzato ex novo”, spiega Cordella a Open.
Lettera attribuita a Poletti: le firme presenti nel documento e in quello del 1982 “sono perfettamente sovrapponibili. In grafologia la sovrapponibilità di due firme è sinonimo di falso, in quanto non è possibile per un soggetto fare una firma esattamente uguale a un’altra. Anche realizzando un milione di firme, non ne troveremo mai una uguale all’altra nel senso di sovrapponibile”, considera Cordella.
Lettera attribuita a Ruini: Cordella premette che la firma che si visualizza sullo schermo televisivo risulta poco definita e che, pertanto, è possibile effettuare solo un confronto di natura grafometrica, misurando le dimensioni dello scritto (inizio della firma, allineamento rispetto all’intestazione stampata, misura delle lettere che salgono, movimento degli occhielli delle lettere “C”). “Anche in questo caso”, conclude Cordella, “la perfetta sovrapponibilità delle due firme conferma al 100% che sono la stessa firma tagliata e incollata sul documento esibito.”