Roma. Ascoltati dalla Commissione bicamerale di inchiesta deputata a indagare sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, gli avvocati della famiglia di Enrico De Pedis, detto “Renatino”, legato alla Banda della Magliana. I due legali, Maurilio Prioreschi e Lorenzo Radogna, hanno ripercorso le vicende personali e giudiziarie di De Pedis, escludendo il suo coinvolgimento nella scomparsa della quindicenne cittadina vaticana, avvenuta a Roma il 22 giugno 1983.
“Morì da incensurato. Quello di Enrico De Pedis è uno di quei pochi casi in cui si diventa boss dopo essere morto. Gli scaricano addosso l’omicidio Pecorelli, Calvi, di tutto di più. Non voglio sminuire o dire che De Pedis era uno stinco di santo, ma non aveva questa caratura criminale”, ha considerato l’avvocato Maurilio Prioreschi, secondo quanto riportato da Fanpage.
De Pedis “è nato nel 1954, nel 1974 a venti anni viene arrestato per una rapina e si fa cinque anni di carcerazione preventiva fino al 1979, quando viene condannato in primo grado, condannato in appello, assolto in Cassazione”, ha ricostruito Prioreschi. “Le prime rivelazioni dei pentiti della Banda della Magliana arrivano nel 1982, il Pm emette un ordine di cattura e De Pedis si rende latitante. Viene arrestato due anni dopo e resta in carcere fino al 1988.”
Dopo tre processi per traffico di stupefacenti e due per associazione a delinquere, cinque omicidi, alcune rapine, viene assolto da tutte le imputazioni per non aver commesso il fatto. “Non era un santo, ma ognuno va processato per quello che ha fatto e non per quello che si pensa abbia fatto”, ha rimarcato il legale. “Finché era in vita e si è potuto difendere, è stato sempre assolto. Dopo la morte gli hanno scaricato addosso tutta una serie di fatti.”
Il legame con il caso Orlandi
A proposito del presunto coinvolgimento di De Pedis nella scomparsa di Emanuela Orlandi, spesso evocato da chi si interessa del caso, “Nasce tutto da una telefonata falsa”, ha spiegato Prioreschi.
Una telefonata pervenuta nel 2005 alla redazione del programma Chi l’ha visto? e mandata in onda. “Qualcuno diceva: ‘Se volete scoprire il segreto di Emanuela Orlandi, guardate chi è stato sepolto a Sant’Apollinare e il favore che fece al cardinal Poletti.’ Ma che favore gli doveva fare poi a Poletti?” Quando, nel giugno 1983, Emanuela Orlandi è scomparsa, De Pedis era latitante: “Era a Fregene in quel periodo”, ha proseguito l’avvocato. “Eppure da questo momento alcuni pentiti della Banda della Magliana si infilano e cominciano a fare dichiarazioni sul ruolo di De Pedis in questa scomparsa.” Né, secondo Prioreschi, De Pedis avrebbe rapporti con il Vaticano, con la politica, con il cardinale Agostino Casaroli: “Se stiamo appresso a queste cose…”
Scenari
In tema di possibili scenari relativi alla scomparsa, “Inutile dire che non credo alla pista della Magliana”, ha dichiarato il legale. “Ritengo invece molto convincente la memoria di Imposimato sulla pista bulgara, ho sempre pensato potesse essere buona la pista internazionale, poi ho letto che a Roma in quel circondario di 2,5 km dal Vaticano sono scomparse non so quante 15enni e, ancora, della vicenda della pista familiare: spero che prima o poi si arrivi alla verità.”
Ancora: “Ma se la Banda della Magliana avesse messo in piedi un ricatto per riavere 20 miliardi versati alla banca del Vaticano, e perciò rapito la Orlandi, se fosse vero, il Vaticano avrebbe sepolto De Pedis in Sant’Apollinare? La logica non lo dice.”
Dal Verano a Sant’Apollinare
A proposito della tomba di De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare: “Per me sarebbe dovuto rimanere lì per una questione di principio. Per toglierla hanno persino demolito la cripta”, ha affermato il legale.
“Per come mi è stato raccontato dalla moglie, De Pedis ha conosciuto monsignor Vergari, rettore della basilica di Sant’Apollinare, durante la seconda detenzione, abbondantemente dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi”, prosegue il racconto di Prioreschi pubblicato da Fanpage. “Una volta uscito dal carcere ha continuato ad avere un rapporto con lui, perché era appassionato di canto gregoriano. Ha iniziato a frequentare la basilica e le messe. Dopo una di queste, Vergari gli ha detto di avere intenzione di restaurare i locali della cripta per 10 celle mortuarie affinché anche i privati potessero essere sepolti con l’autorizzazione, sono andati anche a visitarli, erano fatiscenti.”
Due anni dopo, nel 1990, De Pedis è morto ed è stato sepolto al cimitero del Verano. “La tomba, però, subiva continui atti vandalici. Così la moglie di De Pedis si è ricordata della conversazione del marito con monsignor Vergari e gli ha chiesto se potesse essere sepolto lì anche perché la donna lavorava a 200 metri dalla basilica: andare al Verano da Prati o dal lungotevere era un viaggio per lei”, ha continuato. “Quando la moglie ha concordato con don Vergari la sepoltura nella cripta, si è fatta carico delle spese di ristrutturazione del locale sottostante.” Costo, 40 milioni: “Come li avevano? La moglie ha sempre lavorato, il resto è il guadagno dai loro ristoranti.”
La scoperta della sepoltura
A quanto riferito in Commissione dall’avvocato Prioreschi, il luogo di sepoltura di De Pedis sarebbe stato noto ben prima della telefonata anonima giunta a Chi l’ha visto? “La prima notizia è arrivata nella Procura di Roma da un confidente, così è stata aperta un’indagine: sono stati ascoltati i familiari, acquisita la documentazione, comprese le fatture, sentiti gli Scarpellini che hanno fatto il sarcofago. Poi archiviata.”
Il presidente della Commissione di inchiesta, Antonio De Priamo, ha quindi domandato a Prioreschi perché il cardinale Ugo Poletti, all’epoca dei fatti vicario di Roma, non è stato mai ascoltato in proposito, “Evidentemente non lo hanno ritenuto”, è stata la risposta, “fece una lettera come facevano i politici, di raccomandazione.”
L’estumulazione
E, a proposito dell’estumulazione, il legale ha fatto riferimento a una telefonata giunta al suo collega: “Era il 2012 e noi volevamo dare il consenso della famiglia a spostare il sarcofago perché era uno stillicidio sui giornali. Ad un certo punto è arrivata una chiamata al mio collega Radogna: dall’altra parte c’era il vicecomandante [della Gendarmeria vaticana, ndr] Alessandrini che, a sua volta, ha passato la cornetta a Giani [Domenico Giani, allora Comandante della Gendarmeria, ndr]. Ci hanno spiegato che per loro la situazione era imbarazzante”, ha riportato Prioreschi.
E, parlando della medesima telefonata, nel corso dell’audizione, l’avvocato Lorenzo Radogna ha ricordato: “Ho ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto ed era la Gendarmeria vaticana. Ci chiamavano per la questione della sepoltura, ci suggerivano di dire alla nostra assistita di spostare la tomba, che si sarebbero fatti carico di tutte le spese.” “E io ho fatto una domanda da ingenuotto”, ha proseguito, “ho chiesto se Capaldo ne fosse a conoscenza. Mi risposero che non c’era bisogno, mi chiesero di non farglielo sapere. Io ero a studio, avevo accanto Prioreschi, gliel’ho passato.”
“Noi abbiamo risposto di non avere problemi a riguardo”, è stata la risposta del collega, “purché fosse avvertita la Procura. Ci risposero: ‘Allora volete la guerra.’ Mi disse che avrebbero fatto a loro spese soltanto se non avessimo detto niente in Procura, così ho minacciato di riferire la sua oscena proposta.”
Insomma, un altro tassello della vicenda, un’ulteriore lettura del caso, una nuova possibile prospettiva da cui osservarlo. Ci auguriamo che le indagini in corso – quella della Commissione bicamerale e le inchieste della Procura di Roma e del Promotore di giustizia vaticano – riescano infine a sbrogliare il fitto intrico di dichiarazioni, interpretazioni più o meno arbitrarie, depistaggi che, in tanti anni, sembrano aver reso estremamente complesso recuperare i fatti così come effettivamente accaduti e mantengono impenetrabile il mistero della scomparsa di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori.