Le grandi storie della letteratura hanno il potere di immergere i lettori in mondi di fantasia che diventano veri e credibili. Persino istruttivi. Perché i libri, oltre a favorire l’immaginazione e migliorare la consapevolezza di sé e il linguaggio, sono maestri di vita, insegnano a vivere.
La psicologa e romanziera Keith Oatley paragona le storie ai simulatori di volo: questi ultimi consentono ai piloti di addestrarsi in sicurezza, così le storie ci preparano alle sfide del mondo reale, la finzione narrativa racconta problemi simili ai nostri così da darci l’opportunità di vivere esperienze e problematiche di ogni tipo rimanendo ‘illesi’. Facciamo pratica insomma, ci esercitiamo come se fosse una palestra, leggendo ci domandiamo “cosa avrei fatto io?”. Le domande sono un modo per imparare a vivere. La letteratura informa, insegna, addestra.
Prendiamo ad esempio “Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas, uno dei romanzi più appassionanti che siano mai stati scritti ed emblematico dal punto di vista dell’allenamento e della sperimentazione per il lettore, che riesce a testare ogni situazione, emozione o avventura come se fosse proprio lì, tra le pagine insieme ai personaggi. E c’è davvero tutto in questa storia: l’innocenza tradita, la condanna ingiusta, il tradimento, la fuga, l’ottenimento di una grande fortuna da parte della vittima perseguitata, la libertà sofferta, la strategia di una vendetta contro personaggi che durante il romanzo sono stati resi così detestabili che è impossibile non esultare di fronte alla loro sconfitta, la voglia di resistere. Su tutto questo svetta il tema ricorrente del feuilleton: il superuomo. Ma a differenza di tanti altri romanzi popolari che si fondavano su questa figura, Dumas ce lo rappresenta tormentato, diviso tra l’onnipotenza e la paura, tra i dubbi e la consapevolezza che in fondo quel potere nasce dalla sofferenza, ne è in qualche modo giustificato.
Dantès è un eroe senza tempo, umano e al contempo invincibile, la sua vendetta spinta fino alle estreme conseguenze racchiude il bene e il male, la giustizia e l’arbitrio. In fondo il conte è come un Cristo, dice Umberto Eco, vittima sacrificale della malvagità umana, buttato nella tomba del terribile carcere d’If da cui riemerge per giudicare gli uomini, senza mai dimenticare il suo dolore e la difettosità della natura umana. E poco importa se è forse uno dei romanzi peggiori dal punto di vista della scrittura, così zeppo di ridondanze, di ripetizioni, di divagazioni che non trovano una fine e si ingarbugliano su se stesse, di sentimenti goffi e di descrizioni meccaniche, di personaggi tratteggiati con caratteristiche e reazioni simili per pagine e pagine; e questo ovviamente non perché Dumas non sapesse scrivere ma al tempo si veniva pagati a riga: è comprensibile che lo scrittore accogliesse anche il superfluo pur di racimolare qualche soldo in più.
Inoltre si deve tener conto dell’esigenza, comune a tutto il romanzo d’appendice, di dover ripetere anche fatti già raccontati per non far dimenticare ai lettori distratti quanto successo di puntata in puntata, per mantenere intatto il filo della trama. Eppure a distanza di più di 150 anni, nonostante le tante imperfezioni, “Il conte di Montecristo” continua a conquistare e ad appassionare lettori di tutte le età e rimane ad oggi una delle opere più lette e fortunate della letteratura, una storia con una carica emotiva così forte da avvincere il lettore dalla prima all’ultima delle centinaia di pagine di cui è composto. Perché a volte nella letteratura ciò che conta non sono le mancanze, le ridondanze, le ripetizioni, ma la capacità di coinvolgere e appassionare; anzi, potremmo chiederci: se la storia di Dantès non avesse avuto mille pagine ma soltanto un terzo, sarebbe stata ugualmente straordinaria e ammaliante? Probabilmente no poiché qui parliamo di stile, e se alcune opere, dal punto di vista ‘estetico’, non soddisfano tutti i requisiti di un’opera d’arte non vuol dire che non siano arte, significa invece che la parte fondamentale è proprio la loro funzione fabulatrice, hanno una loro verità viscerale, una fascinazione indiscussa. Come diceva il pittore Gauguin, nell’arte viene prima l’emozione e soltanto dopo la comprensione. E l’emozione e il coinvolgimento di chi legge prescindono dalle regole, dalla perfezione, dai lacci della logica.