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Bominaco, visione mozzafiato, “la cappella sistina d’Abruzzo” sorprende i visitatori

Alessia Pignatelli di Alessia Pignatelli
5 Aprile 2022
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Caporciano. Addentrandoci tra i maestosi tesori d’Abruzzo, un prezioso edificio, sito in un piccolo borgo aquilano, che conta appena sessantuno abitanti, ci regala una visione mozzafiato. Ci troviamo a Bominaco, frazione di Caporciano e, nel famoso complesso abbaziale benedettino comprendente la chiesa di Santa Maria Assunta e l’oratorio di San Pellegrino, possiamo lasciarci assorbire dall’assoluta bellezza medievale della così detta ‘cappella sistina d’Abruzzo’ che affiora con i suoi straordinari dipinti proprio nell’oratorio di San Pellegrino.

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La datazione della chiesa, pur non essendo precisamente identificata, precede sicuramente l’anno 1180, data riportata sul pulpito. Essa al suo esterno si presenta semplice e in stile romanico, mentre all’interno presenta tre navate separate da colonne tutte diverse nella lavorazione degli intagli e laboriosi fregi sparsi nell’ambiente sacro ne valorizzano la visione. Una bellissima colonna tortile ospita il cero pasquale, inoltre, ammirando il ciborio e l’altare, ci sembrerà di tornare indietro nel tempo immaginandone la loro costruzione datata 1233, anno della consacrazione della chiesa.

In stile romanico vi è l’oratorio di San Pellegrino che è stato ultimato nel 1263 e la facciata principale presenta un pronao di origini seicentesche. Questo luogo raccolto e in prossimità della chiesa presentata, ha l’interno a navata unica, la cui larghezza è di circa sei metri e nella lunghezza è poco meno di venti metri. In questo piccolo spazio, una delle più grandi ricchezze patrimoniali della collettività ci travolge per l’ambiente completamente affrescato. Le scene rappresentate, in stile bizantino, nutrono i messaggi del vangelo, della vita di Gesù, di San Pellegrino, dei profeti e santi. Inoltre, troviamo anche il raro nonché particolare calendario con la personificazione dei mesi, le fasi lunari e i segni zodiacali. Soffermandoci sulla rappresentazione dei primi mesi, gennaio viene figurato da un uomo che beve da un fiasco, febbraio annuncia la potatura degli alberi, marzo invece è rappresentato da un uomo che dorme e aprile da un uomo con due fiori nella mano. Infine maggio ha la visione di un uomo a cavallo e giugno mostra la raccolta di un frutto dall’albero. Dalla parte opposta, in esposizione a nord, troviamo invece gli altri sei mesi, ma purtroppo essi hanno delle figurazioni danneggiate dall’umidità.

Stesure di colore merlettano dunque, le pareti di racconti storici e scaldano l’atmosfera dei grossi muri. Come fossero finestre sulle quali potersi affacciare per ammirarne gli orizzonti e per contemplarli con occhi esplorativi e aperti al pensiero del mondo. Poiché c’è un mondo racchiuso in un affresco, ci sono le emozioni e le verità più dolci e più ruvide a sostenere questo viaggio dipinto. Chi dipinge lo sa che i pennelli scivolano su percorsi interiori e strade infinite, dove l’unico carburante che ci lascia essere dei piloti è la nostra passione. Ebbene, in queste opere fluttuano magici racconti e testimonianze pregne di storia e di preghiera che accompagnano la fede e l’equilibrio spirituale dell’uomo in un bellissimo viaggio d’introspezione.

Gli artisti che hanno dato vita a questo enorme regalo patrimoniale sono anonimi, ma al contempo, attraverso le tecniche di pittura e di espressione dei tratti distintivi, sono stati identificati almeno tre pittori, oggi conosciuti come il maestro della passione, il maestro dell’infanzia e il maestro miniaturista. Facendo ingresso in questo “scrigno magico” e dopo aver varcato il portone nella suggestiva penombra, si attiveranno delle luci provvisorie per mezzo di una macchinetta, che ci consentirà di ammirare per il tempo limitato di dieci minuti una meraviglia inaspettata. Meraviglia che, certamente, nelle costruzioni moderne non ci è dato ricevere e con il massimo rispetto e tutela per questi luoghi di prestigio, li tramanderemo ai nostri posteri affinché possano beneficiare di questi splendori del passato che si raccontano d’immenso.

 

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