Lama dei Peligni. Fissare i nuovi obiettivi nella valorizzazione e arricchimento con di nuove varietà lo scrigno di biodiversità rappresentato dalla “vigna madre di Lami”, di cui è custode il signor Pietro Di Florio a Lama dei Peligni, in provincia di Chieti, che conserva già viti ultracentenarie ed autoctone, ereditate dal nonno.
Questo l’obiettivo dell’incontro che si è tenuto nella stessa vigna, a Contrada Lami a Lama dei Peligni con la partecipazione di Camillo Zulli, enologo della Bio Cantina Sociale Orsogna, leader in Abruzzo e in Italia della viticoltura biologica e biodinamica, con circa 300 soci operativi su 1.500 ettari di vigneto, Mario Pellegrini, naturalista, e Aurelio Manzi, etnobotanico. L’iniziativa si inquadra nel progetto di “Pe’ non perde la sumente” della Bio Cantina Sociale Orsogna in collaborazione con la Banca del Germoplasma del Parco Nazionale della Maiella, finalizzata alla tutela e al recupero della biodiversità vegetale, animale e culturale delle aree montane e pedemontane della Maiella orientale, anche attraverso la riscoperta di antiche varietà di vite, da riportare a produzione.
Nel vigneto di Di Florio sono conservati molti vitigni a rischio di scomparsa, come la Ghiuppitt, la Verdacchiona, l’Uva pane, la Middialonga, l‘Uva dellacea, la Cococciola, il Nero antico, la Vedovella, moscati e delle malvasie antiche”. Ha dunque spiegato Zulli: “ora l’obiettivo vuole essere anche quello di allargare l’attività, non lavorando più solo sui vitigni già conservati e coltivati, ma su nuovi ecotipi, ovvero sulle espressioni originali e uniche che un vitigno già diffuso e in produzione, può assumere se coltivato sulla Maiella, dove le condizioni climatiche sono particolari. In questo modo arricchiremo ancor di più la biodiversità, offrendo nuove opportunità a chi in un futuro prossimo intenderà fare fare viticoltura in montagna”.
Ha aggiunto Aurelio Manzi: “nel progetto ‘Pe’ non perde la sumente’, la vigna madre di Lami rappresenta un elemento centrale, è un ‘seme’ per il recupero e la salvaguardia del patrimonio genetico di viti autoctone presenti sul territorio della Maiella Orientale, custodisce varietà esclusive ed ecotipi radicati nella storia millenaria di questa terra. Un lavoro già avviato e che ha fecondi sviluppi”.
Ha concluso il naturalista Pellegrini, “Questo vigneto e testimone diretto della comunità agricola del ‘900, con selezioni massali fatte dall’uomo e dall’ambiente di coltivazione che conservano l’identità del territorio e riducono l’inquinamento attraverso un minor uso di chimica e acqua. Questo in controtendenza con la viticoltura mondiale che fa uso quasi esclusivo di varietà clonali e i cui vigneti sono figli di una sola vite, con azzeramento della biodiversità e di tutti i suoi vantaggi ambientali”.