Avezzano, cuore della Marsica e punto di riferimento per oltre 140mila abitanti, è oggi una città che parla di cultura ma la pratica sempre meno.
Si celebrano la conoscenza e i giovani nei discorsi pubblici, nelle conferenze, nei convegni e nelle campagne elettorali. Ma quando si passa dai microfoni ai fatti, dai manifesti alla realtà quotidiana, resta solo il silenzio di sale vuote e di porte chiuse.
È il paradosso di un territorio che invoca il futuro ma lo lascia studiare altrove.
La biblioteca regionale: da faro culturale a presidio dimezzato
Il Centro Servizi Culturali della Regione Abruzzo, in via Cavalieri di Vittorio Veneto, era fino a pochi anni fa una certezza.
Un luogo vivo, aperto ogni giorno, dove studenti e ricercatori trovavano accoglienza fino alle 18.
Oggi è l’ombra di se stessa: aperta solo la mattina e due pomeriggi a settimana, con orari spezzati che obbligano tutti a uscire all’una per poi rientrare due ore dopo.
Un modo di funzionare che disincentiva chiunque voglia studiare con continuità.
La responsabile, Annamaria Marziale, spiega, intervistata dal Centro, di non poter rilasciare dichiarazioni e si limita a ricordare che gli orari sono stabiliti dalla Regione.
Dietro questa formula neutra, però, si intravedono problemi di fondo: carenza di personale, assenza di visione e disinteresse istituzionale.
Negli ultimi tempi c’è stata una fuga di personale, otto dipendenti in pochi anni. E altri sembrano intenzionati a fare lo stesso. Il personale rimasto non basta più. Il risultato è una biblioteca che arranca, vittima di scelte al ribasso e di una gestione che appare più burocratica che culturale.
Dalla Regione arrivano rassicurazioni: “La soluzione è in arrivo”, “la questione è all’attenzione degli uffici”. Ma l’utenza vuole sapere come e quando, perché nel frattempo le aule si svuotano, i ragazzi si disperdono, e un intero presidio culturale scivola lentamente nell’abbandono.
È facile parlare di giovani, cultura, conoscenza, innovazione. Fa bene in campagna elettorale e riempie i discorsi ufficiali.
Ma le parole, senza luoghi dove possano tradursi in studio e formazione, restano aria.
Avezzano ne è la prova più amara: una città che ogni giorno pronuncia la parola “futuro”, ma che nega ai suoi figli il diritto elementare di costruirlo.
La cultura è diventata retorica, una bandiera da sventolare e non un bene da custodire. Il Comune si sta muovendo per cambiare le cose, ma il percorso è lungo e serve la collaborazione degli enti a tutti i livelli.
La biblioteca comunale: chiusa da un quarto di secolo
Da 25 anni la storica biblioteca comunale è chiusa. Un quarto di secolo di porte serrate, di scaffali dimenticati, di libri sballottati come oggetti senza casa.
Doveva trovare una nuova collocazione nei locali dell’ex Catasto, in via Treves. Sembrava tutto pronto, poi nel 2023 i problemi strutturali hanno bloccato l’operazione.
Da allora, più nulla.
Oggi non è neppure chiaro dove si trovi il patrimonio librario: pare sia conservato in una scuola, in attesa di una “sistemazione provvisoria” che, come spesso accade, rischia di diventare definitiva.
È l’immagine plastica di una città che da anni ha messo la cultura in scatole di cartone.
La sala Irti: simbolo di buona volontà e di impotenza
La piccola biblioteca della Sala Irti, aperta solo pochi giorni e con orari discontinui, ha appena una decina di posti. Il personale è gentile e disponibile. Ma può fare poco con la gentilezza. Gli spazi sono pochi. Alcune postazioni sono occupate da un plastico di Avezzano in miniatura, che sottrae spazio ai lettori.
Un’immagine che da sola basterebbe a raccontare la situazione: la rappresentazione della città ha preso il posto della città reale.
Il sindaco Gianni Di Pangrazio ha annunciato la volontà di estendere gli orari pomeridiani, ma anche in questo caso le dimensioni della struttura rendono impossibile rispondere alla domanda reale.
Soluzioni private e universitarie: frammenti di un sistema spezzato
La biblioteca della facoltà di Giurisprudenza è riservata ai soli iscritti.
Ci sono poi altre realtà private che non riescono ad aprire per mancanza di personale e di locali. Così gli studenti si arrangiano: studiano nelle case, nei bar, nelle aule parrocchiali. In un territorio che produce laureati, ma non offre spazi di studio, la parola “merito” suona come una beffa. “Non possiamo studiare con continuità, abbiamo chiesto a tutti e non sappiamo cosa fare”, spiegano gli studenti. Eppure nessuno sembra considerare la loro voce una priorità.
La politica si sta muovendo, a dicembre la svolta
L’unica proposta concreta, per ora, arriva dalla collaborazione tra il Comune, e in particolare il sindaco di Avezzano Di Pangrazio, e l’assessore regionale Roberto Santangelo e dal sindaco di Avezzano Di Pangrazio. Il primo pensa in grande: “Trasformeremo la struttura in un Polo culturale, siamo già al lavoro. Abbiamo chiesto interventi all’assessorato di competenza”.
Ma nel frattempo? Santangelo firmerà, come avvenuto a Chieti e Vasto, un protocollo con il Comune per l’utilizzo di personale comunale. In questo modo la biblioteca potrà restare aperta tutti i giorni con orario continuativo fino alle 18 da lunedì a sabato.
Il Comune ha già dato la propria disponibilità. “Le biblioteche devono tornare ai Comuni”, afferma il sindaco Di Pangrazio, “le Regioni legiferano, ma la gestione dei servizi deve stare nei territori, tra la gente. Firmeremo subito la convenzione”.
Un’idea di buon senso che potrebbe segnare una svolta trovando una sponda politica.
Affinché le parole non restino promesse e le serrature chiuse, l’assessore Santangelo ha assunto un impegno: “Firmeremo e apriremo entro dicembre”. Ed è pronto a un sopralluogo nelle prossime settimane per ufficializzare la svolta.
Avezzano, la città che chiude i libri
Il rischio è chiaro: Avezzano sta crescendo una generazione senza biblioteche, senza luoghi di concentrazione e confronto.
E non è solo un problema logistico: è un segnale sociale.
Quando una città smette di investire nella cultura, rinuncia a coltivare pensiero, libertà e cittadinanza.
La cultura non è un ornamento, è il tessuto stesso di una comunità viva. Oggi, nel centro della Marsica, quel tessuto è sfilacciato. E mentre la politica continua a parlare di giovani, innovazione e sviluppo, le uniche porte che restano davvero aperte sono quelle dei bar. Le biblioteche, invece, chiudono puntuali all’una.
Si torna a guardare a dicembre come a una data spartiacque. Regione e Comune dicono di essere pronti a un accordo, una convenzione che metta fine al paradosso delle biblioteche a singhiozzo e apra finalmente un capitolo nuovo, con orari continui, personale sufficiente e servizi degni di un capoluogo culturale. È una promessa importante, ma le promesse non bastano più: serve la firma, serve l’impegno, serve che questa città torni ad avere rispetto per i suoi studenti e per la sua stessa intelligenza. Dicembre potrebbe essere l’inizio di una rinascita socioculturale, il segno che la Marsica non vuole rassegnarsi al silenzio delle aule vuote. La speranza c’è, ma questa volta non può restare solo sulle locandine. A dicembre non ci si aspetta un annuncio: ci si aspetta che le luci della biblioteca restino accese. E noi saremo qui a vigilare che ciò avvenga.



