Castellalto. La situazione alla Purem di Castellalto, in provincia di Teramo, continua a destare forte preoccupazione e tensione. L’azienda tedesca, parte del gruppo Eberspächer e specializzata nella produzione di sistemi per lo scarico automobilistico, ha avviato la procedura di chiusura dello stabilimento abruzzese con il conseguente licenziamento di circa 50 dipendenti. La comunicazione è arrivata tramite una PEC inviata ai lavoratori e ai sindacati a metà giugno, senza alcun preavviso né confronto, scatenando i proteste immediate.
La decisione della multinazionale si inserisce in un contesto di crisi del settore automobilistico europeo, che l’azienda ha definito “strutturale e non reversibile”, sottolineando come la produzione del comparto sia calata del 50% rispetto al 2018. Purem ha dichiarato che la chiusura dello stabilimento di Villa Zaccheo è una scelta legata alla necessità di contenere i costi e riorganizzare le attività in paesi a minore impatto economico, come Repubblica Ceca, Polonia e Romania, dove la produzione sarà trasferita.
I sindacati Fiom-CGIL e Fim-CISL hanno denunciato la gravità del metodo adottato, parlando di una “decisione unilaterale e vergognosa”, che ha colpito non solo l’aspetto economico, ma anche la dignità delle persone coinvolte. I lavoratori hanno risposto con scioperi, blocchi dei mezzi aziendali e presidi davanti ai cancelli, chiedendo l’apertura immediata di un tavolo di crisi.
La Regione Abruzzo, attraverso l’assessore alle Attività produttive Tiziana Magnacca, ha convocato un incontro urgente e ha chiesto all’azienda di ritirare i licenziamenti per aprire un confronto su soluzioni alternative, come la cassa integrazione o la cessione del sito a nuovi investitori. Tuttavia, al momento, Purem ha ribadito l’intenzione di procedere con la chiusura, offrendo solo un’indennità economica pari a otto mensilità ai lavoratori coinvolti, senza alcuna possibilità di rientro o reindustrializzazione.
La vertenza resta aperta, con i sindacati che promettono di non arretrare e le istituzioni locali impegnate nella difficile ricerca di un soggetto industriale interessato a rilevare l’impianto. Intanto, sul territorio, cresce l’allarme sociale per l’impatto occupazionale della decisione e il rischio che altri stabilimenti dell’indotto possano subire effetti a catena.
Nel frattempo, i lavoratori continuano a presidiare l’ingresso della fabbrica, determinati a far sentire la propria voce e a difendere il diritto al lavoro in una terra già provata da anni di delocalizzazioni e crisi industriali.
La decisione della multinazionale si inserisce in un contesto di crisi del settore automobilistico europeo, che l’azienda ha definito “strutturale e non reversibile”, sottolineando come la produzione del comparto sia calata del 50% rispetto al 2018. Purem ha dichiarato che la chiusura dello stabilimento di Villa Zaccheo è una scelta legata alla necessità di contenere i costi e riorganizzare le attività in paesi a minore impatto economico, come Repubblica Ceca, Polonia e Romania, dove la produzione sarà trasferita.
I sindacati Fiom-CGIL e Fim-CISL hanno denunciato la gravità del metodo adottato, parlando di una “decisione unilaterale e vergognosa”, che ha colpito non solo l’aspetto economico, ma anche la dignità delle persone coinvolte. I lavoratori hanno risposto con scioperi, blocchi dei mezzi aziendali e presidi davanti ai cancelli, chiedendo l’apertura immediata di un tavolo di crisi.
La Regione Abruzzo, attraverso l’assessore alle Attività produttive Tiziana Magnacca, ha convocato un incontro urgente e ha chiesto all’azienda di ritirare i licenziamenti per aprire un confronto su soluzioni alternative, come la cassa integrazione o la cessione del sito a nuovi investitori. Tuttavia, al momento, Purem ha ribadito l’intenzione di procedere con la chiusura, offrendo solo un’indennità economica pari a otto mensilità ai lavoratori coinvolti, senza alcuna possibilità di rientro o reindustrializzazione.
La vertenza resta aperta, con i sindacati che promettono di non arretrare e le istituzioni locali impegnate nella difficile ricerca di un soggetto industriale interessato a rilevare l’impianto. Intanto, sul territorio, cresce l’allarme sociale per l’impatto occupazionale della decisione e il rischio che altri stabilimenti dell’indotto possano subire effetti a catena.
Nel frattempo, i lavoratori continuano a presidiare l’ingresso della fabbrica, determinati a far sentire la propria voce e a difendere il diritto al lavoro in una terra già provata da anni di delocalizzazioni e crisi industriali.