L’Aquila. La bellezza del mondo in un mondo di dolore. Questo ho visto entrando per la prima volta alla Mensa di Celestino. Il dolore delle persone dimenticate dal nostro “Stato di diritto” e costrette a sfamarsi su un piatto che non è il loro. La bellezza del lavoro quotidiano e appassionato dei volontari e dei ragazzi del servizio civile.
Parlo con Annapaola che, oltre ad occuparsi di assistenza psicosociale, all’occorrenza aiuta in cucina, scarica scatoloni di viveri e va ovunque ci sia bisogno di una mano. E’ una donna energica ed espansiva, ma umile. Dalla prospettiva privilegiata di chi la combatte, è lei, nel suo ufficio, a raccontarmi cosa significhi “povertà” in una provincia come quella dell’Aquila.
In Abruzzo sono 38000 coloro che rientrano nelle fasce di indigenza, secondo i dati del 2014 del Banco Alimentare. Nel contesto aquilano, un dato sbalordisce: non sono i cosiddetti “clochards” ad affollare le realtà di volontariato sociale, ma persone comuni. Ci sono famiglie più o meno numerose che non riescono più ad arrivare a fine mese, italiani e stranieri che hanno perso il lavoro, altri che, pur lavorando, non vengono stipendiati: c’è persino chi, malato, non può pagare il ticket per una visita medica. Alcuni, abbagliati dal miraggio del cantiere più grande d’Europa, vengono a L’Aquila e rimangono disoccupati.
Chiedono un aiuto anche persone con gravi problemi di droga e alcol, ma sono una minoranza.
Qui si servono, in media, 50 pasti al giorno, senza contare i pacchi di viveri distribuiti ogni mattina alle circa 115 famiglie censite. Non si distribuiscono solo alimenti, ma tutto ciò che può essere d’aiuto: abbigliamento, latte, denaro per il pagamento di bollette, pannolini.
Chi vive da sempre in povertà riesce a cavarsela maggiormente, ma per chi sprofonda in questo abisso d’improvviso, è difficile adattarsi e sopravvivere. Con questa consapevolezza è stato creato uno sportello di ascolto che aiuta l’individuo a reinserirsi nella società. Un impegno a trecentosessanta gradi, che può proseguire solo grazie alle donazioni dei cittadini volenterosi, assieme a quelle di alcune catene di supermercati, dell’Istituto Alberghiero e, in passato, anche della Mensa Universitaria.
Ma questo non basta. Nonostante i numerosi eventi per la raccolta fondi, sempre meno cittadini devolvono in beneficenza. E così, spiega la volontaria con amarezza, se prima si facevano due raccolte a settimana, adesso si arriva a stento ad una. E intanto i numeri della povertà si sono moltiplicati, complice la crisi.
Sono i portafogli dei cittadini ad essersi alleggeriti o forse è l’indifferenza verso questa realtà ad essere cresciuta? Probabilmente entrambe le cose.
Cosa certa è che, con l’eliminazione completa dei fondi istituzionali, le utenze sul grande prefabbricato che ospita l’associazione (tra elettricità, gas e riscaldamento) pesano, ora, come un macigno.
Ma è arrivato il momento di vedere la mensa: Annapaola mi mostra la cucina ed il magazzino. Ci imbattiamo in due giovani nordafricani. Le camere della struttura ne ospitano una ventina. Hanno una stanza con un televisore ed un computer, per rimanere in contatto con i loro affetti lontani. Pian piano stanno imparando la nostra lingua, mi dice sottovoce la donna.
Si ride, si scherza e si lavora sodo, alla Mensa di Celestino. E si sorride, nonostante tutto: sorridono i bisognosi ed altrettanto i volontari, che oggi sopperiscono alle gravi carenze di politica e istituzioni. Lo Stato, quello della Costituzione e del Diritto, sembra ,ormai, averli dimenticati.
Diego Renzi