Nel corso dei secoli, la grande Letteratura ci ha regalato luoghi letterari rimasti poi indelebili nel cuore dei lettori, spazi immaginari o realtà concrete e dettagliate in cui è ambientata una storia, tutti strettamente legati alle suggestioni del racconto e alle vicende dei protagonisti. Non semplici sfondi da cartolina o scenari casuali dunque, ma ambienti che diventano parte integrante dell’opera, necessari, vitali, seducenti, in alcuni casi veri e propri personaggi al pari degli altri in carne e ossa.
“L’ambientazione di una storia è ciò che ci fa ritrovare in un luogo preciso. Dà a noi lettori la sensazione di vivere insieme ai personaggi. Se una storia è ambientata in Honduras, dovremmo sentirci accaldati, sudati e assetati. Dovremmo vedere il sole cuocere la piazza della città e il vapore alzarsi dalla schiena del piccolo asinello legato a fianco della chiesa. Dovremmo sentire l’odore dello zozo, la ghiottoneria locale a base di testa di pesce e bucce di banana, che sfrigola sui carboni accesi. Un ambiente descritto con bravura, non solo ci dice dove ci troviamo, ma dona alla storia un senso di verità, quella credibilità che noi chiamiamo verosimiglianza” spiegava John Leggett.
Gli scrittori costruiscono i luoghi, mondi di carta che il lettore vede, respira, sente, e in cui si immerge, cammina, tocca.
Georges Simenon scrisse decine e decine di romanzi con diverse ambientazioni eppure, nonostante gli intrecci possano svolgersi in posti diversi, il suo paesaggio tipo resta la città di provincia, il porto, i canali, la strada con i suoi caffè e i suoi alberghetti. Il passaggio di un treno, la nebbiolina che sale, il passo di un viandante. Il paesaggio descritto da Simenon crea un’atmosfera con pochi elementi e contribuisce in modo determinante alla storia; a volte completa persino i personaggi che nei suoi romanzi sono piuttosto scarni, lo stile dello scrittore belga è asciutto e neutrale e così l’ambiente perfeziona la storia, permette al lettore di riempire i vuoti con il suo immaginario.
In molti casi i luoghi diventano veri e propri protagonisti, condizionano la trama, l’azione, le emozioni e il finale. La stessa storia spostata in un altro ambiente perderebbe senso, forza e significato.
A metà dell’800, quando Victor Hugo lavorava alla stesura de “I miserabili”, Parigi era fatta di ampi viali, di tavolini davanti ai caffè, di alberi ben curati e illuminati dai numerosi lampioni, una città sicura, viva, frequentata. Ma solo qualche decennio prima, nel periodo in cui è ambientato il romanzo, era un luogo molto più buio, povero, in cui regnavano disuguaglianza e disperazione, una vecchia Parigi costruita su un labirinto di stradine, cortili e angoli dove i personaggi scivolavano nell’oscurità. Per Hugo la città aveva sotto di sé un’altra Parigi, una copia sporca e dall’odore nauseabondo, e “chi guarda nelle sue profondità ha le vertigini”.
La brughiera dello Yorkshire in cui è ambientato “Cime tempestose” di Emily Brontë è un luogo naturale battuto dal vento, uggioso, dal cielo plumbeo, ci sono paludi, fossi, radici esposte, è spesso ricoperto di nebbia, un paesaggio indomabile, volubile e meditabondo. Non potremmo immaginare lo stesso romanzo impetuoso e appassionato adattato in un’altra parte geografica, perché la brughiera è un luogo vivo e tormentato che riflette lo stato d’animo dei personaggi, è parte integrante della loro storia.
La Manhattan di fine anni ’40 che fa da sfondo al vagabondare del giovane Holden cacciato da scuola è insieme grande, inebriante, tetra, attraente, infaticabile, fatta di hotel e strade affollate ma anche della grandezza di Central Park e dei numerosi grattacieli; è una città in divenire, alla ricerca della propria identità dopo l’orrore e il buio della Seconda guerra mondiale, e rispecchia così l’adolescente protagonista di Salinger dallo sguardo anticonvenzionale, disilluso e ribelle in cerca del suo posto nel mondo.
Pensiamo alla periferia dell’America rigida e bigotta degli anni ‘70 così come viene descritta da Jeffrey Eugenides nel magnifico “Le vergini suicide”, un ambiente puritano che fa da sfondo perfetto alla tragedia delle cinque sorelle Lisbon, oppure all’altopiano spagnolo selvaggio e fertile de La Mancia, una terra rossa illuminata dal sole e dal cielo blu e coperta di grano, prati, olivi, filari di vigne, con i bianchi mulini a vento che sembrano in lontananza giganti intenti a muovere le loro lunghe braccia. Una regione attraversata da Don Chisciotte con la sua immaginazione, la sua armatura e il fidato scudiero Sancho Panza, in viaggio per riparare le ingiustizie e resuscitare la cavalleria. O ricordiamo la San Pietroburgo che vediamo attraverso gli occhi e i passi del povero studente Raskol’nikov: non la città magnifica fatta di palazzi e cupole, ma quella sovraffollata e afflitta da criminalità, malattie e miseria; la sua parabola di delitto e redenzione si immerge nelle strade accaldate e sporche, passa attraverso retrobottega luridi, bordelli e locande anguste, ci mostra un mondo caotico e degradato.
In realtà questa sorta di mappa letteraria potrebbe ampliarsi all’infinito. Attraverso lo scorrere delle pagine – che raccontino di grandi città trafficate o di foreste buie, di montagne innevate o di quartieri poveri, di templi o di pianure assolate, di pub fumosi o di campagne deserte, di luoghi di polvere e sporcizia o di luce e speranza, di mondi inventati dei fantasy e dei racconti di fantascienza o di atmosfere inquietanti e sinistre tipiche dei noir – il lettore può perdersi fantasticando, può scoprire, immergersi, capire; può calarsi come un palombaro in un altro mondo e conoscerlo e abitarlo come fosse il suo. Un modo per viaggiare e immaginare unico e potente, che solo la Letteratura può regalarci.