Pescara. Per la fine di febbraio gli italiani più riluttanti a farsi somministrare un vaccino anti-Covid basato sulla tecnologia a mRna avranno a disposizione Novavax, il preparato che utilizza la tecnica delle proteine ricombinanti, definita più ‘classica’ perchè sperimentata da decenni per esempio contro meningite, pertosse, epatite. Una tecnologia tradizionale insomma per il nuovo vaccino autorizzato il 20 dicembre scorso dall’Agenzia europea del farmaco (Ema).
Commercializzato con il nome di Nuvaxovid e Covovax (in India), l’ultimo vaccino anti-Covid in ordine di tempo ad arrivare sul mercato è un vaccino proteico, ossia contiene frammenti prodotti in laboratorio della proteina Spike, che si trova sulla superficie del virus Sars-CoV-2, e un adiuvante, la saponina. Diversamente dai vaccini Pfizer, Moderna, Astrazeneca, Johnson&Johnson, Sputnik, che usano tecnologie a mRNA e vettore virale, quello prodotto dalla casa farmaceutica statunitense Novavax non è un vaccino genico ed è stato creato attraverso la tecnica delle proteine ricombinanti.
Una tecnologia ampiamente sperimentata fin dagli anni ’80 per esempio contro l’epatite B. NVX-CoV2373, questa la sigla, come qualsiasi altro vaccino ha l’obiettivo di stimolare il sistema immunitario facendogli produrre una risposta contro l’aggressione di un agente esterno.
È composto da frammenti proteici del virus partendo dall’immissione in un ‘baculovirus’ (virus svuotato del suo contenuto genetico) di una porzione di Dna con le informazioni utili a produrre la proteina Spike. In una fase successiva, alcune cellule vengono infettate dal virus e quando il materiale è all’interno, il baculovirus libera il materiale genetico utile alla produzione della Spike. Proteina che, dopo essere stata prodotta, viene rilasciata al di fuori delle cellule.
Le nanoparticelle virali contengono fino a 14 proteine Spike, a cui si aggiunge un adiuvante che stimola il sistema immunitario. Un’ingegneria, quella di Novavax, completamente differente dalla tecnologia a mRna (Moderna e Pfizer), che consiste invece nell’iniezione di un frammento di Rna che serve a far produrre soltanto la proteina Spike. Il protocollo del nuovo vaccino prevede la somministrazione di due dosi a distanza di 21 giorni, l’immunizzante resta stabile tra i due e gli otto gradi. Quando viene inoculato, il sistema immunitario si attiva e legge le particelle proteiche come estranee: a questo punto comincia a produrre difese naturali attivando anticorpi e linfociti T e B.