Tortoreto. “Il mondo della politica ha il dovere morale, compattamente e all’unisono, di far sentire la propria voce affinché a Denis Cavatassi, 50enne originario di Tortoreto condannato a morte in Thailandia quale mandante dell’omicidio del suo socio in affari, venga garantito un giusto processo e che, se ritenuto colpevole in via definitiva, la pena capitale venga commutata in ergastolo. Il presidente Giovanni Lolli si attivi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Quirinale al fine di ottenere un interessamento formale al caso da parte di Giuseppe Conte e Sergio Mattarella sia presso la magistratura thailandese che nei riguardi del sovrano Rama X. Il tutto prima che le vene di Cavatassi siano raggiunte dagli aghi previsti dalla pratica dell’iniezione letale”. E’ netta ed esplicita la richiesta che il Consigliere Leandro Bracco ha reso nota tramite un comunicato stampa diramato nella giornata odierna.
“Da ben sette anni”, spiega l’esponente di Sinistra Italiana, “il tortoretano Cavatassi si trova in un carcere thailandese a causa di un’accusa che sin dal primo giorno ha sempre respinto e cioè di essere stato colui il quale avrebbe ordinato l’assassinio di Luciano Butti, imprenditore toscano con cui gestiva un ristorante a Phi Phi Island, una delle mete turistiche più rinomate della Thailandia”. “L’imprenditore teramano”, prosegue Bracco, “si è sempre proclamato innocente e nell’ambito della lunga detenzione alla quale è stato sottoposto ha più volte lamentato ripetute violazioni di matrice giudiziaria e ha anche asserito di essere stato torturato e di vivere in condizioni detentive disumane. In aggiunta i fratelli di Denis e cioè Adriano e Romina Cavatassi hanno affermato che il loro congiunto sarebbe stato condannato alla pena di morte non si sa bene in base a quali prove considerato che il poliziotto che ha condotto l’inchiesta sull’omicidio Butti non si è nemmeno presentato in tribunale per rendere testimonianza”.
“Fermo restando la totale indipendenza, sovranità e autonomia decisionale di cui la Thailandia si fa legittimamente portatrice”, sottolinea Bracco, “sono però anche fermamente convinto che la pena di morte sia la più barbara, crudele e per nulla edificante e costruttiva modalità tramite la quale ottenere, anche solamente in parte, giustizia. Il solo Cavatassi è a conoscenza del fatto di essere stato oppure no mandante dell’omicidio del suo socio in affari. Ciononostante – evidenzia Bracco – sono dell’opinione che nessuno possa anche solo torcere un capello al Caino più assetato di sangue. Il tutto perché ogni nazione, ovunque essa si trovi, deve dare l’esempio più fulgido e vivido possibile del concetto di giustizia e non, al contrario, mettersi sullo stesso piano di chi, accecato da odio e risentimento, ha alimentato la propria mente e la propria mano tramite il concetto di male dandone purtroppo attuazione”. “Anche se il teramano Denis Cavatassi fosse condannato in via definitiva per omicidio, tutte le persone che aborrano la pena di morte hanno il dovere di impegnarsi affinché a Cavatassi stesso la vita sia risparmiata. Nessuno”, conclude Leandro Bracco, “deve toccare Caino”.
foto: repubblica