In pochi sanno che lo zafferano, la celebra pianta che insieme alla genziana si contende il titolo di pianta simbolo d’Abruzzo, ha un fratello gemello mortale. Si chiama colchicina, ma qualcuno la conosce con il nome di colchio d’autunno, ed è un sosia fin troppo simile al suo più celebre fratello/cugino. L’appello di prestare attenzione arriva dagli esperti che, in questo periodo di fioritura, cercano di mettere in allerta i “raccoglitori della domenica”. Sono infatti bastate infatti le prime piogge, dopo la lunghissima secca estiva, per far spuntare sulle montagne abruzzesi tantissime piante di colchicina, che crescono spontanee nei prati e ai margini dei boschi fino ai 2000 metri. La pianta, che rientra nella lista delle erbe velenose stilata dal ministero della salute, è pericolosa persino da toccare, il solo contatto, infatti, può causare gravi danni alla pelle e, al pari dei funghi più velenosi, la colchicina uccide con effetto quasi immediato. I primi sintomi sono bruciore alla gola, dolori gastrici, crampi e sudori freddi, ma la sostanza porta alla morte per insufficienza respiratoria o arresto cardiocircolatorio nel giro di 7/48 ore al massimo. Ed è proprio quello che è capitato l’altro giorno ad una coppia in provincia di Venezia, marito e moglie, che dopo scambiato questa pianta per zafferano, hanno deciso di usarla per prepararsi un bel risotto. I due coniugi sono morti intossicati e l’autopsia ha confermato l’avvelenamento da colchicina. L’unico modo per distinguere le due piante sembra che sia quello di contare gli stami, che nel colchico sono 6 al contrario dei 3 dello zafferano. Gli esperti comunque raccomandano la massima prudenza e di far controllare sempre ciò che si raccoglie dal servizio commestibilità, in genere prestato gratuitamente dalla ASL di appartenenza @francescoproia